Quanto vale la vita di un medico?

Quanto vale la vita di un medico? Forse sarebbero bastati 150 euro a permettergli di lavorare in sicurezza. Una cifra a caso? Non proprio, dato che è di oggi la notizia pubblicata su La Stampa che in Lombardia esisterebbe un “far west” dei laboratori che effettuano tamponi a pagamento da tempo. L’accusa viene mossa dal Consigliere regionale della Lombardia Samuele Astuti che rivela: “sappiamo che ci sono laboratori che li offrono per cifre molto variabili, alcuni a 150 euro, altri pure il doppio”.

Forse adesso si capisce meglio perché in queste settimane, proprio quando i medici morivano a decine anche per la mancanza di test che gli permettessero di lavorare in sicurezza, ci sono stati diversi personaggi del bel mondo patinato che hanno affermato di aver fatto il test ed essere risultati negativi, con grande sollievo dei loro fans.

Possibile, eppure, uno degli istituti chiamati in causa, come il San Raffaele, avrebbe replicato, sempre secondo la Stampa, che “i tamponi sono stati eseguiti negli ambulatori San Raffaele Resnati in regime di medicina del lavoro fino a una decina di giorni fa, ad alcune aziende o Rsa che chiedevano di poter lavorare in sicurezza. Ma che a nessun privato nemmeno a pagamento è stato effettuato il test”. In sostanza, chiosa il giornalista Fabio Poletti, “aziende private in convenzione pagavano per quello che non riuscivano ad ottenere dalla sanità pubblica”.

Benissimo, una mezza ammissione di come funziona la sanità privata, cosa più che prevedibile dato che già 15 anni fa il vignettista Mauro Biani, parlando della Sicilia, scriveva: “ci siamo accreditati fino al collo”.

Una vignetta di Mauro Biani pubblicata sul mensile di satira “Pizzino”, giugno 2016

Ma quella era la Sicilia, mica l’operosa Lombardia. Oggi, invece, un sistema sanitario regionale che si definisce all’avanguardia come quello lombardo, sembra non accorgersi che si potevano fare da tempo più tamponi a quelli che erano i soggetti più esposti, cioè i medici. Tanto tempo perso a parlare di guerra e di trincee e poi mandare “in prima linea “i medici lasciando che le aziende, alcune aziende e personaggi vari avessero la priorità. Continua a leggere

Affetti collaterali

Voscienza ‘bbenedica, si mittissi comodo ‘nca ora ci dobbiamo infilare un discorso. Vossìa lo sapete megghio di Nuatri che chi canta vittoria senza sapiri quello che sta facendo è come un viddanu contento di dari zappunati ‘mmenzu u mari. È un babbasuni, non ha capito niente! Lo zio Bernardo è dentro, ma loro neanche sanno quello che stanno facendo. Vossìa l’avete vista mai una chiesa che chiude perché muore il prete? Cu campa di simboli ora si può riempire la bocca, ma non la panza, perché tutta questa storia è carta di giornali che prima poi si sputa, perché col tempo perde sapore.POSTER9

Megghio così, megghio far pensare che la Sicilia e l’Italia siano cambiate, megghio far pensare che sono gli uomini a creare le condizioni e non le condizioni a creare gli uomini. E finché ci sono certe condizioni, certi uomini non mancheranno mai. Quello che conta, e lo dice uno che si chiama Denaro, non è la moneta, ma “essere fedeli alla causa”. Ognuno come può. Pare che siamo moschettieri, che lavoriamo tutti per uno e uno per tutti. Invece funziona che sono in molti a lavorare per pochi, e mai per uno solo. Ora dicono che manca il capo. Pare una barzelletta! Ma che fa, nessuno se lo ricorda che anche alla Procura di Palermo manca il capo da più di due stagioni? Davanti al Palazzo di Giustizia che c’è scritto “chiuso per ferie”? E la Sicilia democratica della maggioranza costituita, che si indigna e si batte il petto, quando arriva il momento delle elezioni, con una mano scrive e con l’altra cerca picciuli ‘nta sacchetta. Pare che siamo al nord, che ci pigghia lo scrupolo di tapparsi il naso. Quello che fuori fa puzza, qua fa sciavuru… profumo di fedeltà. I cristiani non ci mancano. Come si dice da queste parti, si chiude una porta e si apre un portone. Per ora Bernardo è dentro, che mischino, si deve pure curare, ma tutto il suo stato maggiore è tornato in libertà nelle scorse settimane: dal Castello a Lipari… Sempre a norma di legge, per carità. Quello che dobbiamo fare adesso, è dare ragione a tutti, perché sappiamo che la ragione ce l’hanno le puttane. E che nessuno si azzardi di avere nostalgia dei pizzini, perché non ce ne sarà di bisogno. O vi siete scordati di come li facciamo entrare e uscire dal carcere? Entrare e uscire, perché nessuno parla da solo. Pure questa dei pizzini sta diventando una moda e i parlamentari, come sempre, sono i primi a prendersi le buone abitudini di casa nostra. Ora vi dobbiamo lasciare, ma ricordate che quando vi diranno: “Addio Pizzini”, potete sempre rispondere: “Avete ragione”. Baciamo le mani.

Gianpiero Caldarella

(pubblicato sul mensile “Pizzino”, n.9, maggio 2006)

RAI: pagherete di tutto, di più

Secondo i suoi canoni (quelli Renzi), il pagamento del canone Rai in bolletta è una genialata, perché pagherebbero tutti e pagherebbero di meno. Perché dovrebbero pagare tutti? Perché la paura che scatta nel contribuente è quella che gli staccano la luce. Così facendo, però, la previsione è che si raccoglierebbero molti più soldi rispetto a quello che è il fabbisogno della Rai, e questo denaro finirebbe nelle casse dello Stato, che potrebbe usarlo tanto per la riduzione del debito, quanto per pagare pensioni o mazzette d’oro.

Quindi va da sé che mentre pagheremo il canone Rai, in realtà staremo finanziando di tutto, di più. Una volta c’era la tassa sul pane, che tutti consumano da sempre. Paghi il pane? Bene, ci finanzi il collier della regina o della duchessa. Oggi qualcosa di simile vorrebbero spalmarlo sulla bolletta della luce. Va benissimo, i tempi cambiano e non usiamo più le candele. Però, a questo punto, un po’ di osservazioni sarebbero lecite.

Renzi-RaiVuoi che pago il canone Rai? Allora fammelo pagare il giusto, 50 o 60 euro o quello se serve ma non di più. Vuoi che pago il canone Rai? Allora trasforma la Rai in un servizio pubblico, il che significa che gran parte delle scelte operate a Viale Mazzini dovrebbero essere gestite dai cittadini attraverso meccanismi da creare e smetterla di considerare quell’azienda come una grande torta che i partiti si spartiscono da sempre. Vuoi far pagare qualcosa a tutti? Allora fai in modo di offrire qualcosa a tutti, anche a chi la tv non la guarda o la detesta. Mi spiego meglio: l’editoria italiana è in crisi da anni, i giovani giornalisti (fuori dalla Rai) sono pagati peggio degli sguatteri, i piccoli editori chiudono uno dopo l’altro, il concetto di pluralismo è seriamente in crisi e con esso l’idea stessa di democrazia.

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Maggio 2005, il primo “Pizzino”

Oggi è l’ultimo giorno di maggio 2015. Stasera potremo strappare un’altra pagina del calendario. Ci ho pensato prima di scrivere questo post, non mi piacciono le ricorrenze e gli anniversari, ma era l’ultimo giorno a disposizione e così ho deciso di “ricordare” Pizzino. Sì, perché nel maggio 2005 veniva pubblicato il primo numero della rivista di satira “Pizzino”, sottotitolo “Un mese di satira, spamming con sarde e affucanotizie”.

Una rivista in qualche modo nuova, per taglio editoriale, formato, contenuti, e grafica, curata dall’ottimo Leonardo Vaccaro. Oltre a me e Leonardo, a progettare ed iniziare quell’avventura c’era anche Francesco Di Pasquale. Un trio di trentenni squattrinati e senza nessuna voglia di arricchirsi. Nei due anni e passa in cui siamo andati avanti (l’ultimo numero risale all’estate 2007), la rivista si è fatta conoscere in Italia e in Europa, non ha mai ricevuto un euro di pubblicità o di sovvenzioni e ha riunito attorno a sé alcune delle migliori matite e penne di questo sgangherato paese. Dentro Pizzino si sono trovati, tra gli altri, Mauro Biani, Massimo Bucchi, Andrea Camilleri, Nicola Cavallaro, Gianluca Costantini, Sebino Dispenza, Giorgio Franzaroli, Valeria Fici, Massimo Gariano, Kanjano e Ferro, Alfonso Leto, Sergio Nazzaro, Antonio Norato, Johnny Palomba, Marco Pinna, Filippo Ricca, Giacomo Sferlazzo, Sergio Staino, Vincino …

Insomma, è stata una bella avventura, nel nostro piccolo abbiamo dato una spinta a quell’editoria satirica che in Italia era agonizzante (unico a resistere era il Vernacoliere dell’ottimo Mario Cardinali), dalle nostre ceneri è poi nato il settimanale satirico Emme, pubblicato dall’Unità. Insomma, per 4 o 5 anni almeno, come gruppo abbiamo cercato di dare una possibilità alla satira su carta e al pensiero critico non politicamente corretto. Con Pizzino poi abbiamo vinto un po’ di premi, compresa la 34° edizione del premio internazionale di Forte dei Marmi nel 2006, come migliore rivista satirica pubblicata in Italia. Una cosa che non era mai successa per una rivista siciliana. La motivazione era questa: “Una risata li seppellirà? Forse no, ma se il pizzo e i pizzini dei boss finiranno nel dimenticatoio un po’ di merito l’avranno anche quelli di Pizzino, rivista palermitana di satira che affronta a spron battuto temi caldissimi, soprattutto per la Sicilia. E lo fa con la convinzione che solo suscitando indignazione e rabbia si possa rompere ogni tabù, e guardare ad un futuro migliore. Senza banalizzare, senza usare perifrasi, e senza paura”. La giuria, della quale faceva parte anche il grande Edmondo Berselli, ha sicuramente esagerato. Non credo che Pizzino possa avere avuto dei meriti, la mafia è ancora fortissima anche se non si parla quasi più di pizzini e se si sono fatti enormi passi avanti nella lotta contro il pizzo. In fondo era solo un’operazione culturale non assistita da denaro pubblico o sponsor privati, senza padrini né padroni. Praticamente un’eresia ambulante. Non è un caso che i quotidiani e i “grandi” media siciliani evitavano di parlarne, ricordo addirittura un giornalista che mi disse papale papale che loro seguivano “un’altra linea”. Però i nazionali e all’estero ne parlavano (l’articolo pubblicato su “Lo specchio de La Stampa” è una delle testimonianze).

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Qualche libreria a Palermo e non solo a distanza di anni teneva ancora qualche poster attaccato alle pareti. Di tanto in tanto c’è chi chiede che l’esperienza venga ripresa o che si faccia un volume per il decennale. Ho forti dubbi. Se Pizzino è finito nel dimenticatoio un motivo ci sarà ed bene che sia così. In fondo ha fatto il suo sporco lavoro. O no?

Gianpiero Caldarella

Ciucci-Style, l’uomo del Ponte (+ Pizzino n.2)

A ponte sullo stretto

L’Ingegno Italico ha primeggiato ancora una volta. Oggi, mercoledì 10 luglio 2015, tutti gli Italiani, di cielo, di terra e di mare, possono dirsi fieri di trovarsi “A Ponte sullo Stretto” e per questa l47esima inaugurazione siamo certi che la pietra riuscirà finalmente a mettersi in posa. Per fare Grandi Opere ci vogliono Grandi Tasse e ora come allora noi ci giochiamo tutto sul prestigio. Esattamente 10 anni fa Vi invitammo a destinare l’otto per mille a questo nuovo tabernacolo: oggi la vostra Grande Fede vi ha premiato. Al primo rullare delle betoniere anche gli Oppositori più incalliti smettevano di remare contro: saldi come piloni e cementificati dalla fede, si immolavano alla causa facendoci risparmiare financo sui materiali. E se dovesse crollare lo daremo in subaffitto agli abitanti di Atlantide. Il popolo va preso per il popo’…(applausi)

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Pila. e. Ponte. (Pilastrati per il Ponte)

da “Pizzino”, n.2, giugno 2005

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P.s.: Complimenti vivissimi a Pietro Ciucci, futuro ex direttore dell’Anas. Ce l’ha fatta a passare alla storia come “l’Uomo del Ponte”. No, non proprio il ponte sullo Stretto, che ha promosso per 12 anni (2002-2013) come Amministratore delegato della costosissima “Società Stretto di Messina”, ma piuttosto per i crolli del ponte “Scorciavacche” sulla Palermo-Agrigento a poco più di una settimana dall’inaugurazione o del recente cedimento di un pilone del ponte “Himera” sull’autostrada Palermo-Catania.

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