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La democrazia fondente

La provincia spesso permette di vedere più chiaramente quello che nelle grandi città non è immediatamente percepibile. Le fondamenta della democrazia stanno nella partecipazione e in una comunità di mille abitanti e poco più spesso quelle fondamenta sono visibili.

Facciamo un paio di esempi. Nel primo caso si parla dei soci fondatori di un’associazione nata nel 2021 che ha già ricevuto svariati contributi per diverse migliaia di euro dal Comune in cui ha sede.

Tra i sei soci fondatori compaiono la persona che a quella data era il Sindaco, ed è stato rieletto, il Vicepresidente del Consiglio Comunale, oggi Presidente e l’allora consulente del Comune oggi Assessore. Un’associazione che a detta di molti ha fatto tanto bene per il paese e del resto non si possono reprimere gli impeti filantropici di quanti si spendono per il bene comune.

Però, anche se nel direttivo non compaiono figure istituzionali, leggendo lo statuto e il regolamento interno pubblicato sul sito, si legge che “il Consiglio Direttivo è composto da tre, cinque o sette membri. Dura in carica 4 (quattro) anni con possibilità di rinnovo delle cariche e viene eletto come segue: 2/3 (o 3/5 o 4/7) componenti indicati dai soci fondatori e 1/3 (o 2/5 o 3/7) componenti eletti dall’assemblea in rappresentanza dei soci aderenti.”

Questo significa, che se anche l’associazione dovesse crescere fino ad avere centinai di soci, questi non conteranno mai come i soci fondatori nella nomina del Consiglio Direttivo a cui spetta tra l’altro l’elezione del presidente. Tutto “blindato” a partire dalle fondamenta. Per la serie: “sempre da me devi passare”. È la parte migliore della democrazia, quella “spartecipativa”.

E intanto dalla regia rimbomba delicata una voce in sottofondo: “E tu che fai non partecipi? Ma cosa vuoi di più? Ancora a parlare di indipendenza e cose vecchie come il cucco… ma smettila! Pensa al futuro, che noi ci abbiamo già pensato, pure al tuo”.

Nella democrazia tradizionalmente intesa ci sono pesi e contrappesi; nella democrazia fondente ci sono strati e controstrati.

Nel secondo caso invece abbiamo a che fare con una Fondazione scientifica, una di quelle importanti, fondata sempre dallo stesso Comune. Prima di arrivare alla nascita della Fondazione, quel comune si è impegnato nell’intercettare e nello spendere tanti milioni di euro di finanziamenti per mettere su le strutture, ha messo a disposizione degli immobili di sua proprietà e per tanti anni ha speso energie, denaro, tempo, innumerevoli ore di lavoro di tecnici, maestranze, segretari comunali e amministratori. E ancora oggi, se c’è da fare qualcosa, non si tira indietro, come è giusto che sia all’interno di un rapporto franco ed equilibrato. Nelle righe che seguono potremo farci un’idea se quest’equilibrio regge o pende da un lato.

Pertanto, a mo’ di riconoscimento del lavoro fatto dal Comune, la Fondazione ha previsto nel suo Consiglio di Amministrazione (CdA) cinque membri di cui tre eletti dal Consiglio Comunale.

La prima “terna” viene nominata dal Consiglio Comunale nel 2017 uno o due mesi prima delle elezioni, che non si sa mai, magari dovessero credere che il CdA risponde al Consiglio Comunale in carica quei 5 anni. E in effetti i membri di quel CdA -che poi ha eletto il Presidente, cioè il Sindaco intanto diventato ex- non hanno mai messo piede all’interno di quel Consiglio Comunale che li ha eletti (pardon, il precedente Consiglio) per relazionare sulle attività svolte dalla Fondazione, per presentare i conti o per mettere in evidenza opportunità o criticità. Certo, lo ha fatto talvolta il Presidente, soprattutto per chiedere la solidarietà dell’amministrazione nel chiedere fondi e contributi a enti regionali o statali.

Siccome squadra che si vince non si cambia, succede che nel 2022, a ridosso delle elezioni, uno o due mesi prima, il Consiglio Comunale, avendo apprezzato il modus operandi dei predecessori, rielegge le stesse persone che dureranno in carica altri 5 anni nel CdA della Fondazione, mentre l’orizzonte di carica dei consiglieri si riduce a una manciata di giorni nel caso in cui le elezioni avessero preso una brutta piega.  

Le fondamenta della democrazia, i soci fondatori, le fondazioni. Tutto molto bello.

Quel piccolo e ridente paese continua a vivere serenamente, avendo imparato che la partecipazione è una brutta bestia, che le domande si fanno solo a scuola, che è meglio vivere di concessioni che morire di diritti. Munnu a statu e munnu sarà (trad.: è così che va il mondo).

Accade così gli abitanti di quel ridente paesino vengono un giorno sì e un giorno no accusati di apatia, di poca voglia di partecipare e di mettersi in gioco, di essere loro stessi la causa delle loro disgrazie. Nel frattempo si racconta che la comunità si salverà grazie all’entusiasmo di tutti quelli che, approdati nel magico borgo in questi tempi di ripresa e resilienza, non vedono l’ora di partecipare al “banchetto”…pardon, allo sviluppo di questo paesino che sembra non essere più neanche in grado di raccontare la propria cultura, che ha addirittura silenziato le voci di chi da sempre con competenza ed autorevolezza si è speso per la comunità. Ma di questo ne parleremo in un altro “cuntu”.

Intanto diciamo solo che non sono pochi quelli che pensano che l’apatia dei tanti sia l’altra faccia della medaglia della bulimia, dell’eccessivo appetito dei pochi, a cui evidentemente piace vincere facile.

E mentre l’inverno sta arrivando, il clima si surriscalda e la democrazia si fa sempre più fondente.  

Occhio che squaglia.

Gianpiero Caldarella

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La “montagna di merda” non profuma di rose

Stamane il notiziario delle 8 su Radio1 non ha detto neanche una parola su Aldo Moro e Peppino Impastato, uccisi entrambi il 9 maggio 1978. In realtà c’era un solo generico accenno alla giornata della memoria delle vittime del terrorismo, solo una data per Moro e il nulla su Impastato. Certo, Radio Rai, che rimane un ottimo esempio di servizio pubblico, capace di coniugare qualità dell’informazione e pluralismo, oggi dedicherà delle trasmissioni a questi due grandi uomini del nostro recente passato. 

Moro e Impastato, all’apparenza così distanti nei modi e nello spazio, avevano in realtà qualcosa in comune: entrambi lottavano per qualcosa che avrebbe cambiato in meglio il Paese. 

Moro era uno dei protagonisti di quel processo chiamato “compromesso storico” e la stretta di mano tra il segretario della DC e l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, era qualcosa di impensabile per chi voleva continuare a costruire muri. Uno “scandalo” per i falchi dell’epoca, per gli instancabili promotori della guerra fredda e con le dovute proporzioni, quando oggi sentiamo Zelensky che apre alla Russia dicendo di essere disposto a “cedere” la Crimea pur di far cessare la guerra e un attimo dopo sentiamo intervenire il presidente della Nato che sconfessa Zelensky dicendo che la Crimea non si tocca, si ha la sensazione che il presidente ucraino rischia di più a non allinearsi alle posizioni della Nato che a continuare la guerra con Putin. Detto ciò, è chiaro che la distanza in termini di spessore politico e umano tra Moro e Zelensky è un abisso. 

Impastato, giù in Sicilia, a Cinisi, a suo modo lavorava anche lui per una sorta di “compromesso storico”, quello tra attivisti contro la mafia e società civile, ridicolizzando la mafia e cercando di far sì che a lottare contro di essa non fossero solo le parti migliori della politica (penso a Pio La Torre o a Piersanti Mattarella) o delle forze dell’ordine o della magistratura (e qui non faccio nomi perché l’elenco sarebbe troppo lungo). Quando Impastato, da militante comunista, diceva che “la mafia è una montagna di merda”, non intendeva dire solo che è orribile o che puzza da morire, ma che tutti possiamo calpestare quella merda, che un solo uomo, anche il più scrupoloso dei professionisti, non può fare tanto, ma una società attenta, coesa e solidale può spazzare via quella merda e può anche sbeffeggiarla.

Oggi sembrano scomparsi o quantomeno ridimensionati dalla “grande” informazione, come se fossero tornati ad essere scomodi. A dire il vero il percorso di “riabilitazione” della figura di Impastato è stato lungo e per più di un decennio la macchina del fango su di lui ne ha dette di tutti i colori (estremista, terrorista, ecc. ecc.). Alla fine, grazie al processo, alla caparbietà dei suoi compagni e alla popolarità del film “I cento passi”, è stata ristabilita la verità. Ciò non toglie che l’antimafia sociale, quella dal basso, senza finanziamenti e sponsor istituzionali, oggi più di ieri, non ha vita facile. E fare antimafia, soprattutto in Sicilia, non significa ripetere facili slogan (quello lo sapeva fare anche Cuffaro), ma impegnarsi nella ricerca della verità, denunciare le storture, schierarsi con il più debole e a volte semplicemente avere il coraggio di dire che “il re è nudo”.

Moro invece, in quanto grande statista ed uomo di Stato, è stato dipinto da subito come un “martire”, probabilmente anche da quelli che hanno responsabilità sulla sua morte, ma dopo 44 anni il processo di verità che dovrebbe svelare le trame che ci sono state dietro il suo assassinio, sono ancora oscure. Ma quello che più importa è che il metodo politico di Aldo Moro è stato archiviato anche da quelli che sarebbero dovuti essere i suoi eredi. Di “compromessi” non si parla quasi più, si rialzano i muri e le armi inviate in giro per il mondo, a partire dall’Ucraina, sostituiscono il ruolo della diplomazia e delle parole.

Pertanto oggi diventa più importante che mai ricordare i loro esempi di vita, avendo il coraggio di scomodare i potentati, a qualunque livello, dal nazionale al locale, prima che qualcuno, poco alla volta, con la propaganda e le “amicizie che contano”, faccia passare il messaggio che “la montagna di merda” profumi di rose. 

Gianpiero Caldarella

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Il nuovo “Tabbobbio” di Isnello 

Il volto di Isnello sarà presto impreziosito da un nuovo avveniristico edificio che nascerà nella piazza principale del gagliardo paese madonita, dove al momento ha sede l’ufficio postale. 

L’annuncio, in pompa magna, è stato diramato il 20 marzo sui canali social del Comune e del Sindaco diffondendosi ben presto per cielo, per terra e per mare. Anche dalle costellazioni di Pegaso ed Orione sono arrivati scroscianti applausi per le forme affusolate del manufatto.

Il progetto esecutivo è stato approvato dalla Giunta Municipale l’11 marzo nella sala delle adunanze della gloriosa Casa Comunale e prevede una spesa di appena 994 mila euro.

In pratica pochi spiccioli, quisquiglie, bazzecole se rapportate alle poderose economie del borgo madonita e ai passi da gigante che la comunità farà dopo il decollo di questa struttura. 

Al suo interno, vi sarà un infopoint e con teutonica precisione frotte di visitatori saranno accolti a braccia aperte e a lingua sciolta. Le informazioni saranno infatti fornite nella lingua madre del borgo, ma anche in inglese, francese, tedesco, giapponese, mandarino e arancia di Scillato.  

All’interno della monumentale opera verrà collocato anche il museo “Trame di filo” che con un adeguato gioco di specchi potrebbe diventare l’inizio del labirinto da cui si dipartiranno i percorsi che tutto il mondo ci invidia, come il sentiero dei pianeti con tanto di tute da astronauta usa e getta che verranno fornite in dotazione agli impavidi nipoti di Neil Armstrong.

Nella giornate speciali riecheggeranno nel borgo le note dell’artiglieria pesante della musica, cioè gli organi delle chiese, le cui canne, lucidate come intrepidi cannoni, spicchiolieranno nella volta celeste, e se non sarà celeste, ci damu una tinciuta, che una botta di colore non guasta mai.

Sono tanti gli eroi accorsi da tutta Italia che hanno dato vita e animeranno questo mirabolante spazio le cui meraviglie saranno presto note da Pachino a Pechino.

I cittadini residenti scalpitano nell’attesa della demolizione dell’ufficio postale, incuranti della strada che dovranno fare per ritirare la pensione e alcuni di loro già sbavano immaginando di mummiare le numerose fanciulle e ragazzoni che affolleranno questo nuovo magico edificio.

Se c’è un peccato commesso dall’amministrazione nel prospettare questo nuovo paradisiaco scenario, è stato quello di battezzarlo “ITINERA”, un nome troppo modesto per cotanto progetto.

Sono già in molti quelli che a gran voce chiedono che sul maestoso prospetto che abbellirà la piazza compaia la scritta “TABBOBBIO”, che meglio rappresenta le virtù dell’opera e le ambizioni di un’amministrazione e della sua gloriosa comunità.

Se anche tu immagini che il nome “TABBOBBIO” rappresenti meglio lo spirito di questo futuristico manufatto aderisci all’adamantina campagna: “Un TABBOBBIO è per sempre”.

Pronospera e agliastri!

Gianpiero Caldarella

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Una spremuta di acqua intelligente/3

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 3

I CASI PARTICOLARI E IL DUBBIO: UNA SCELTA VERAMENTE CONVENIENTE?

segue da: https://scomunicazione.wordpress.com/2021/06/14/571/(si apre in una nuova scheda)

Ci siamo chiesti come mai i comuni di Gangi, Pollina e Gratteri non abbiano aderito all’accordo quadro dal momento che, per come è stata dipinta la faccenda, sembra un percorso conveniente per tutti. 

Il sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo, sentito a fine marzo, ci dice che “dipende dal fatto che noi avevamo già acquistato i contatori e quindi non era il caso. Abbiamo investito diverse centinaia di migliaia di euro qualche anno fa, non ero sindaco io e quindi i contatori sono a norma. Avevamo una minima parte non a norma ma li abbiamo acquistati e li stiamo sostituendo, quindi ovviamente non abbiamo aderito. Sa, stiamo parlando sempre di denaro pubblico. L’unica differenza è che i nostri contatori non hanno il telecontrollo. Ce ne faremo una ragione e andiamo a rilevare la lettura con un impiegato”.

Il sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo

Tutto chiaro, i contatori per legge vanno sottoposti a revisione o sostituzione ogni dieci anni e il comune di Gangi li ha già sostituti da poco. Nessuna legge tra l’altro impone dei contatori smart.

Un po’ più interessante è il caso del Comune di Pollina, contattato telefonicamente a fine marzo. L’assessore Salvatore Gaglianello in merito ai motivi che hanno portato a non sottoscrivere l’accordo quadro risponde: “proprio pochi minuti fa ho parlato con il nostro assessore, Scialabba, che è assessore al comune di Pollina ed è anche assessore all’Unione dei Comuni, il quale mi ha detto di parlare con Sosvima, con Ficile, per capire, perché qui noi non ne sappiamo niente. Non ne sappiamo niente, perché, diciamo, questa rinuncia è stata fatta dalla precedente amministrazione, in quanto noi ci siamo insediati ad ottobre (ndr: 2020) e la cosa è una cosa vecchia che noi abbiamo saputo quando lei ha chiamato il sindaco Musotto (ndr: un paio di giorni prima avevamo scambiato due battute col sindaco Musotto che ci aveva rimandato all’assessore), perché altrimenti non ne sapevamo niente di questa cosa. Stiamo cercando di capire per quali motivi, perché la precedente amministrazione non ha aderito a questo progetto (…) anche perché non le nascondo che io mi occupo anche di tutto l’idrico a Pollina e avere i contatori con l’autolettura per noi sarebbe importante”.

A spiegare meglio le ragioni di questa “assenza”, ci pensa ancora una volta l’amministratore unico di Sosvima, Alessandro Ficile: “per quanto riguarda Pollina questo percorso di assistenza tecnica è partito con l’amministrazione Culotta la quale non si è sentita. Eravamo all’inizio del 2020, le elezioni dovevano essere a maggio, poi come lei sa la pandemia ha spostato il termine e alla fine si è arrivati ad ottobre. Quindi diciamo, fra gennaio e febbraio, quando tutti gli altri comuni hanno richiesto il nostro supporto tecnico, lei ha ritenuto opportuno di -come dire- non farlo anche per non mettere di fronte a un fatto compiuto, a una scelta del genere, la nuova amministrazione che si sarebbe insediata da lì a poco e che invece poi per altri motivi, le elezioni sono slittate e sono state portate ad ottobre. Quindi il motivo è di opportunità, di scelta, di visione, perché il comune di Pollina rientrava tra i comuni che in una prima fase abbiamo seguito”.   

Questo spaccato di conversazione d’un tratto inserisce un altro attore nel nostro racconto e cioè la politica. Il fatto che aderire o meno a questo accordo quadro, al di là dei tecnicismi e dei vantaggi e delle incertezze sulle scelte ancora da prendere, sia anzitutto il frutto “di una scelta, di una visione”, non lascia adito a dubbi. Si tratta indubbiamente di un atto politico, qualcosa di più di un atto dovuto, per dirla in breve. Inoltre, secondo la ricostruzione di Ficile, la delicatezza con cui l’ex sindaco Magda Culotta tratta l’amministrazione che seguirà, non meritevole di essere messa “di fronte a un fatto compiuto”, stride con il basso profilo tenuto da tutti o quasi gli enti coinvolti in questa faccenda in merito alla comunicazione e alle informazioni che potevano essere veicolate alle decine di migliaia di cittadini coinvolti dalle trasformazioni in atto nel settore dell’acqua. Per dirla con le parole, tra l’altro già citate, di uno dei sindaci coinvolti nell’accordo quadro: “attendevamo solo la conclusione del procedimento”. In altre parole, il fatto compiuto.

Dopo Gangi e Pollina, l’ultimo “caso particolare” da prendere in rassegna è quello del Comune di Gratteri. Riusciamo a contattare telefonicamente a fine marzo l’assessore Nico Cirrito a cui chiediamo come mai il Comune di Gratteri non ha aderito all’accordo quadro e la sua risposta è illuminante: “noi abbiamo fatto, diciamo, un’indagine di mercato, abbiamo chiamato direttamente Hitron e il fornitore di Hitron è Immedia che ci ha fatto uno sconto che a nostro avviso è più vantaggioso, ma forse è meglio che parli con l’ufficio tecnico che ha i dati per fare la fornitura diretta, risparmiando un bel po’ di soldi, penso. Siccome il nostro è un comune modesto, abbiamo acquistato un contatore che mediante la lettura pro-scan, noi passando per le strade del paese mediante questo sistema riusciamo ad avere una lettura immediata a differenza, penso, di altri contatori che andrebbero a fornire il dato direttamente alla centrale, praticamente in comune”.

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Una spremuta di acqua intelligente/2

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 2

segue da: https://scomunicazione.wordpress.com/2021/06/14/una-spremuta-di-acqua-intelligente-inchiesta-cuntu-sulla-rivoluzione-in-atto-nel-settore-idrico-in-molti-comuni-delle-madonie-e-del-palermitano—cap-1/

UNA SCELTA CORALE E UNA DISCUSSIONE APERTA

Posta in questi termini, tutta la vicenda sembra non meritare particolare attenzione dal punto di vista giornalistico, come se il percorso fin qui elaborato dalle amministrazioni che gestiscono gli acquedotti fosse né più e né meno che un atto dovuto. Eppure una scelta tanto strategica quanto onerosa per le comunità coinvolte avrebbe sicuramente meritato più spazio nel campo della comunicazione istituzionale. In altre parole, le amministrazioni comunali avrebbero potuto fornire più informazioni sulle trasformazioni in atto nel settore idrico e delle scelte che stavano ormai da tempo operando.

Quello che succede è invece che un minimo di dibattito pubblico inizia a crearsi dopo che gli undici comuni coinvolti, tra il 16 dicembre 2020 e il 20 gennaio 2021, con delle delibere di giunta -cioè senza un mandato esplicito dei vari consigli comunali- approvano uno schema di accordo “per il conferimento, all’Unione dei Comuni “Madonie” del mandato per l’attivazione di un Accordo Quadro ai sensi dellart.54 del D. Lgs n. 50/2016, per la fornitura di Kit di contatori intelligenti da installare presso le utenze civili ed industriali” servite dagli stessi comuni nell’ambito del Servizio Idrico Integrato. Il primo Comune a firmare questo accordo è Sclafani Bagni, l’ultimo Petralia Soprana, dove ha sede l’Unione dei Comuni.

A questo punto, soprattutto sui social data la pandemia e l’impossibilità di riunioni in pubblico ci si inizia a chiedere quanto costeranno questi contatori smart, se la gestione del servizio idrico continuerà ad essere interamente pubblica, se i comuni avranno le necessarie risorse, cioè di personale competente per gestire delle reti informatiche capaci di interfacciarsi con ogni singolo contatore intelligente. 

Arriva quindi il momento in cui alcuni sindaci, come quello di Isnello, Marcello Catanzaro, sollecitato sulla questione via social, rassicura la popolazione dicendo che la gestione dell’acqua rimarrà pubblica e che per questo obbiettivo i comuni che hanno firmato l’accordo con l’Unione si sono impegnati in una battaglia che dura da più di un anno ottenendo il “regime di salvaguardia” che consentirà di continuare a gestire il servizio idrico senza cedere questa competenza all’Amap S.p.A. (Azienda municipalizzata Acquedotto di Palermo, ente gestore del servizio idrico integrato in 34 comuni dell’area metropolitana di Palermo), che quella dei contatori intelligenti è una scelta di efficientamento e di progresso, che l’Unione dei Comuni rappresenta gli interessi di ogni singolo comune e che in sostanza il comune di Isnello, nello specifico, ha le risorse o quantomeno le potenzialità per affrontare le nuove sfide contando sui propri mezzi. Sul come mai poco era stato comunicato fino a questo punto, la risposta data il 26 gennaio su Fb non lascia adito a dubbi: “Divulgare pubblicamente il raggiungimento e gli effetti di questo importante traguardo raggiunto era già intendimento di questa Amministrazione: attendevamo solo la conclusione del procedimento”.

Il sindaco di Isnello Marcello Catanzaro

La situazione è più o meno analoga negli altri comuni, vale a dire che i cittadini poco o nulla sanno di quanto sta accadendo. Intanto i fatti si susseguono rapidamente.

Il 18 febbraio 2021 con la determina n.3 l’Unione dei Comuni nomina il geometra Salvino Spinoso -già responsabile tecnico del comune di Petralia Soprana e a quella data in forze presso l’Unione dei Comuni-, come Responsabile Unico del Procedimento (R.U.P.) per l’attuazione della fornitura dei kit di contatori intelligenti. A firmare la determina è il Responsabile del settore tecnico dell’Unione, ingegnere Pietro Conoscenti.

Da notare che nella stessa determina, tra le premesse, si legge che “l’Amministratore Unico di SOSVIMA SpA con nota prot. N° 1780 dell’16.02.2021 ha invitato il Responsabile del Settore Tecnico dell’Unione di voler procedere con la massima celerità possibile all’avvio delle procedure necessarie al raggiungimento del precitato obiettivo”

Con questo passaggio nel nostro racconto entra in gioco un altro attore, cioè la Sosvima (Società Sviluppo Madonie), una società pubblico-privata nata nel 1997 come soggetto responsabile del patto territoriale e che da tanti anni consorzia enti pubblici e forze imprenditoriali, diventando ormai da tempo una realtà consolidata per lo sviluppo del territorio, grazie alle sue capacità progettuali e relazionali. A guidare la Sosvima, che ha sede a Castellana Sicula, è l’amministratore unico dottor Alessandro Ficile.  

Dal contenuto delle poche righe in cui la Sosvima è citata nella determina, possiamo dedurne che di certo non manca di autorevolezza o di capacità di convinzione se solo due giorni dopo dal “sollecito” viene nominato il RUP.

Qualcosa però non ha funzionato per il meglio, dato che il 7 aprile 2021 il geometra Spinoso rassegna le sue dimissioni volontarie irrevocabili dal ruolo di Responsabile Unico del Procedimento e così il 19 aprile 2021 con la determina n.19 dell’Unione dei Comuni viene nominato il nuovo Rup nella persona dell’ingegnere Pietro Conoscenti. A firmare la determina è ancora una volta il Responsabile del Settore Tecnico dell’Unione, cioè l’ingegnere Pietro Conoscenti. Quale sia il motivo delle dimissioni non si sa, ma quello che salta agli occhi è che solo tre giorni dopo, il 22 aprile, viene approvato dall’Unione il progetto per la fornitura di Kit di contatori intelligenti, un “piccolo” progetto da quasi tre milioni di euro.

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Una spremuta di acqua intelligente/1

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 1

Mettetevi comodi se avete voglia di sapere cosa si muove in molti comuni del palermitano e in particolare delle Madonie attorno ad uno dei beni primari per la vita dell’uomo e cioè l’acqua. In fondo riguarda anche le vostre tasche, dato che diversi comuni si stanno attrezzando con dei mutui per far fronte alle spese necessarie per adeguarsi alle nuove leggi e regolamenti. Sono tutte quante spese necessarie? Starà a voi rispondere a questa ed altre domande, se avrete un po’ di tempo e di attenzione da dedicare alla lettura di questo lungo pezzo. Del resto anche l’acqua impiega il suo tempo per scendere dalle montagne fino a valle. A noi invece tocca l’onere di proporvi questo “cuntu”, un’inchiesta che inizia proprio dal conto, dal conteggio dell’acqua che sarà affidato a dei contatori intelligenti e che abbiamo diviso in tre parti. Seguirà poi la parte relativa al regime di salvaguardia, quello ottenuto dai comuni per continuare a gestire in proprio il servizio idrico. Anche lì ci sarà tanto da raccontare e da spiegare. In quanto al metodo, abbiamo deciso di non dare nulla per scontato, per questo abbiamo citato nel dettaglio leggi e regolamenti, abbiamo cercato di guardare ai vantaggi e ai possibili svantaggi di determinate operazioni su larga scala, abbiamo cercato di avere informazioni su cosa accade altrove per capire meglio cosa sta succedendo sulle Madonie. Adesso possiamo aprire i rubinetti. Servitevi pure.

I NUOVI CONTATORI: DOVE QUANDO E PERCHE’

Tra qualche mese in undici comuni delle Madonie faranno la loro comparsa i nuovi contatori intelligenti che andranno a sostituire i vecchi contatori dell’acqua. Veniamo ai numeri: un totale di 21.980 contatori e 37 sistemi smart (telelettore e software di gestione) per un importo a base d’asta che è stato fissato in quasi tre milioni di euro, per la precisione 2.940.893,79 euro

Tabella tratta dalla deliberazione n.16/2021 della giunta dell’Unione dei Comuni “Madonie” con i costi complessivi del progetto.

Il progetto “Fornitura di kit contatori per acqua potabile con modulo di telelettura” è stato infatti approvato dalla giunta dell’Unione dei Comuni Madonie il 22 aprile 2021 e il 3 giugno è stato sottoscritto l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per procedere alla selezione delle aziende che parteciperanno alla procedura ristretta. Ultimo giorno utile alle imprese che vorranno  partecipare a questa gara sarà il 6 luglio.

I comuni interessati a questa “rivoluzione smart” sono: Caltavuturo, Campofelice di Roccella, Castelbuono, Collesano, Geraci Siculo, Isnello, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Scillato e Sclafani Bagni, al cui interno risiedono complessivamente più di 35mila cittadini.

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Il Nazareno, il Vaticano e i panchinari della repubblica

“Morto un papa se ne fa un altro” era la regola Oltretevere. Poi arrivò Ratzinger e scompigliò le carte. Fu la fine di un proverbio e tutti dovemmo fare i conti con una nuova figura: l’emerito.

“Il segretario non può che essere una persona pulita, anzi pulitissima, meglio ancora se usa e getta” era la regola del Nazareno. Otto segretari del Pd fatti fuori in 13 anni.  Solo i ct del Palermo calcio nell’era Zamparini duravano meno. Poi arrivò Zingaretti e scompigliò le carte. Se sarà la fine della “sindrome da Conte Ugolino” che attanaglia il Pd è presto per dirlo.

Il fatto è che Enrico Letta oggi si trova nella stessa posizione che occupò Jorge Maria Bergoglio il 13 marzo 2013, quando venne proclamato Papa. Se nel Pd avessero anticipato di un giorno la votazione del nuovo segretario, avrebbero potuto festeggiare la “fumata bianca” ed insieme l’anniversario del pontificato di Papa Francesco. 

Ma veniamo a noi e facciamo un passo indietro. Iniziamo col chiederci se esistono delle ragioni per cui le situazioni dei due “emeriti”, Ratzinger e Zingaretti, possano essere paragonate. Entrambi si sono dimessi con magna sorpresa di tutti e con il presagio di tante amarezze per non pochi. Chi crede che sia solo Renzi a dover “stare sereno” vede solo la punta dell’iceberg.  Entrambi hanno in qualche modo tracciato la strada per la loro successione, puntando su dei “panchinari” di lusso, dall’aspetto mite, ma molto determinati e con le mani meno legate delle loro. Entrambi avevano un grosso problema, le correnti interne e la gestione dei denari. Se Oltretevere il problema erano anche e soprattutto gli appetiti legati alla gestione delle finanze vaticane e dello Ior, il problema interno al Pd (e non solo) sarà quello degli appetiti legati alla gestione del “Next Generation EU”, i 209 miliardi in arrivo dall’Europa.

E adesso facciamo un passo avanti. Il primo passo di Papa Francesco è stato quello di spogliarsi dei simboli del potere terreno, dall’abbigliamento sfarzoso, ai gioielli ingombranti, alle auto di rappresentanza, alle residenze di lusso. Il tutto per riavvicinare i credenti alla Chiesa, rivoluzionando nelle forme e nella sostanza l’identità del Vaticano e facendosi non pochi nemici all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Il primo discorso di Enrico Letta è stato improntato sulla necessità di riavvicinare i giovani -con un endorsement, guardacaso, a Papa Francesco- e le varie “anime” del centrosinistra al Pd e soprattutto quello di smetterla di essere “il partito del potere” (che tradotto dal politichese, significa, smetterla di essere percepiti come tali). Fin qui solo parole, ma chi cerca di intravedere affinità e divergenze fra i due “Enrico”, Berlinguer e Letta, mettendo sotto la lente di ingrandimento i discorsi del segretario più amato del vecchio Pci, credo stia commettendo un errore. Forse sarebbe più opportuno tenere d’occhio l’emerito, Zingaretti, per comprendere quali saranno le prossime mosse di Letta. Che non è solo colui che dovrà rivoluzionare il partito, non è solo il protagonista di un nuovo corso come lo è stato Bergoglio, ma è anche una vittima della vecchia politica. Che in fondo, tanto bella non è, con buona pace di Veltroni. E questo chi ha pagato il prezzo delle proprie (ed altrui) scelte sulla sua pelle lo sa bene. La maturazione di un essere umano -figuriamoci di un leader-, in fondo, consiste anche nel saper distinguere tra vendetta e giustizia, tra avversari e nemici, tra politica ed affari.

Un segretario pulito a questo punto potrebbe servire poco al Pd o all’Italia. Che vista da Parigi, dove lavorava Letta o da Francoforte, dove viveva Draghi, forse dava un’immagine più nitida di sé, delle sue ricchezze e dei suoi mali. Adesso è il momento delle grandi riserve della Repubblica.

Chissà che i “panchinari” non facciano meglio dei titolari

Gianpiero Caldarella

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Houston, abbiamo un Matteo, anzi due

Se la Russia tanto cara a Salvini spaventava i nostri alleati d’oltreoceano, la “rinascimentale” Arabia Saudita tanto cara a Renzi di certo non entusiasma il nuovo presidente Biden. I suoi consiglieri staranno ancora lì a chiedersi che c’azzecca Riad con Rignano.

Non ci vuole molto a capire che qualcosa non va. Del resto, lo stesso Matteo Renzi, in un’intervista andata in onda su La7 a “Non è l’Arena” il 22 settembre 2019, diceva con estrema lucidità che “Salvini è stato un po’ strano nell’ultimo periodo: non spiegava questa storia dei rapporti coi russi, questo non è un problema legato alla presunta tangente richiesta da questo signore che si chiama Savoini, il punto è che questi rapporti politicamente spostano l’Italia nell’orbita della Russia.”

Ragionamento che non fa una grinza. Neanche se cambiamo la parola “Russia” con “Arabia Saudita”. Un problema di geopolitica, dunque, di orbite che sfuggono anche alla Nasa e non solo una questione di petrodollari o rubli. 

Batti e ribatti, i due Mattei rischiano di ricordare agli USA un altro momento in cui l’Italia rischiava di dare seriamente fastidio oltreoceano. Siamo verso la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Enrico Mattei (sarà un segno del destino) con i suoi accordi per l’estrazione di petrolio in zone del pianeta che fino ad allora erano esclusivo appannaggio delle compagnie petrolifere americane, stava dando non poco fastidio agli interessi a stelle e strisce. Sappiamo come andò a finire. Ma lì l’obbiettivo era percepibile e di lungo periodo, si trattava di far entrare l’Italia nel club delle nazioni che contano sul piano energetico, di limitarne la dipendenza, di restituirle (qualora l’avesse mai avuta) una “sovranità”. E adesso?

Siamo sicuri che i due Mattei stiano facendo il gioco dell’Italia come invece lo fece a suo tempo Enrico Mattei oppure c’è il rischio che stiano facendo uscire il Paese dalle orbite solo per qualche dollaro o rublo in più da usare per le prossime campagne elettorali? Certo, gli zii d’America non sono più generosi come una volta, ma gli zii di Riad o di Mosca non rischiano di metterci in una posizione d’imbarazzo? Qualcuno ha ancora memoria degli endorsements di Berlusconi a Gheddafi? Ma almeno, al di là delle appariscenti amazzoni, in Libia c’erano forti interessi italiani da difendere. E poi, a dirla tutta, se gli interessi della Russia sono chiari ormai da anni, quelli della rampante Arabia Saudita sono ancora opachi e se lì le politiche del lavoro possono apparire brillanti a qualcuno, non bisogna dimenticare che anche i giornalisti sono dei lavoratori e quando vengono ammazzati il loro sangue non ha sfumature rinascimentali.

Neanche se questo sangue lo guardi dalla Luna.

Houston, abbiamo un problema.

Gianpiero Caldarella

Il rosario leghista e i misteri della cultura e dell’identità siciliana

Nel primo mistero si contempla che la geografia è un optional. Se la Lega Nord può fare a meno del Nord, allora anche l’identità siciliana può fare a meno della Sicilia.

Nel secondo mistero si contempla come in nome dell’autonomia Alberto da Giussano si può ritenere un antenato di Salvatore Giuliano e il carroccio un prototipo di razza purissima del carretto siciliano.

Nel terzo mistero si contempla come Palazzo dei Normanni in onor della nuova dominazione sarà ribattezzato Palazzo dei Padani e la Cappella Palatina in onor del Pirellone si chiamerà Cappella Pirellina.

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La festa del lavoro (è) intelligente?

Happy smart working! Stappiamo una bottiglia? L’Italia sembra avere scoperto il lavoro intelligente in questi mesi, il virus sembra averci fatto scoprire nuovi mondi, una sorta di Cristoforo Colombo del 21° secolo.

L’Ammerica non è più al di là dell’oceano, ma dentro casa, e anche se ogni tanto c’è bonaccia perché le reti sono sovraccariche o inadeguate e non si naviga veloci, le nostre caravelle, cioè i nostri pc sono così evoluti e intelligenti ormai da aver reso smart anche il lavoro. Diciamolo chiaramente: molti di noi si sono persino convinti di essere diventati più intelligenti dato che usano macchine intelligenti e viene detto loro che fanno un lavoro intelligente. Ci sarà qualche scienziato che prima poi riuscirà a dimostrare che l’intelligenza si trasmette per osmosi.

La domanda però era un’altra: la festa del lavoro è intelligente? Una domanda che poteva essere posta anche un anno fa o dieci o venti. Per rispondere però bisognerebbe avere chiaro il significato di due parole: festa e lavoro.

La festa per il dizionario Treccani è in sintesi il “giorno destinato alla solennità” e in senso figurato “tutto ciò che dà allegria”. Prima contraddizione: non abbiamo ancora detto cos’è il lavoro, ma lo festeggiamo non lavorando, segnandolo in rosso sul calendario. Un po’ come se esistesse la festa dell’amore e in quel giorno fossimo tutti messi a riposo sentimentale, come dire: “che culo, oggi posso pure evitare di darti un bacio”. Sul fatto poi che il lavoro rende allegri c’è da crederci, dato che in molti pensano che “il lavoro l’ha fatto il diavolo”, un personaggio certamente poco noioso e ricco di immaginazione. Chi ne sa una più del diavolo non è certo considerato un fesso.

Il lavoro, invece, sempre secondo il dizionario Treccani può essere declinato in varie forme, può essere subordinato, parasubordinato, a cottimo, part-time, occasionale, saltuario, autonomo, precario, atipico, a progetto, socialmente utile, a distanza -così definisce lo smart working il dizionario: semplicemente “a distanza”, siamo noi che gli abbiamo attribuito un quoziente intellettivo misurandolo in chilometri-, e ancora può essere interinale, in affitto, a chiamata, a domicilio, notturno, straordinario, doppio, minorile, nero, sommerso, alienato e tante altre cose. Alla base comunque il lavoro sarebbe “l’applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo rivolta direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale”.

Un’immagine del film “Tempi moderni” (1936) di Charlie Chaplin

Altra contraddizione: come fa il lavoro minorile o nero o alienato ad essere di utilità individuale o generale quando esclude da questa generalità proprio chi lo esercita? Perché lo chiamiamo lavoro? Solo perché qualcun altro, magari rispettabile ed in regola ne trae beneficio? In fondo anche i criminali, che siano falsari o ladri d’appartamento applicano le loro facoltà fisiche e intellettuali ma nessuno si sognerebbe di definire la loro “applicazione” come un lavoro, se non provocatoriamente. Eppure continuiamo a chiamare così i lavoratori, migranti ed italiani, sfruttati nei campi e nei cantieri per poche decine di euro al giorno. Tanto, pensiamo che a noi non accadrà. Ma ne siamo così sicuri? Eppure ogni tanto abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che i lavori che non si sono fermati durante il lockdown, quelli essenziali (i riders che fanno le consegne, i cassieri dei supermercati, gli infermieri…) sono i meno pagati, anche rispetto al resto dei paesi europei. Continua a leggere