Fase due: tutto l’amore che manca

Eravamo stati avvisati. Non si poteva accontentare tutti. Qualcuno ci sarebbe rimasto male.

Del resto gli innamorati non sono contemplati nei manuali di giurisprudenza. Abbiamo faticato e non poco per annoverare i conviventi tra i “portatori di diritti”.

Adesso però la situazione è eccezionale. Il virus è sempre lì in agguato, il Governo lavora da matti, il comitato tecnico scientifico e la task force guidata da Colao scrutano l’orizzonte. Bisogna fidarsi.

I decisori politici, a qualunque livello, regionale o nazionale, si avvalgono di esperti che sembrano deresponsabilizzare il loro operato. Le decisioni difficili sono sempre seguite da un “se dipendesse da me”, declinato nelle varie salse. In tempi lontani era “Dio che lo chiedeva”, sussurrando direttamente nell’orecchio del re, altre volte abbiamo sentito dire che “ce lo chiede l’Europa” ed oggi “ce lo dicono gli esperti”.

L’alternativa sarebbe dunque il fai da te o il balletto -due passi avanti e uno indietro- proposto da quel tanghero di Salvini & Co.? No di certo.

Se fosse possibile avanzare una proposta, dovendo governare un’intera società, e non solo l’economia e la sanità pubblica -che quella privata si governa benissimo da sola a quanto pare- mi piacerebbe che oltre ad esperti virologi, epidemiologi ed economisti, fossero consultati degli esperti di storia, di psicologia, di logica, di semiotica. Insomma, siamo così sicuri che possiamo fare a meno del sapere umanistico in una situazione drammatica come questa? Continua a leggere

Quanto vale la vita di un medico?

Quanto vale la vita di un medico? Forse sarebbero bastati 150 euro a permettergli di lavorare in sicurezza. Una cifra a caso? Non proprio, dato che è di oggi la notizia pubblicata su La Stampa che in Lombardia esisterebbe un “far west” dei laboratori che effettuano tamponi a pagamento da tempo. L’accusa viene mossa dal Consigliere regionale della Lombardia Samuele Astuti che rivela: “sappiamo che ci sono laboratori che li offrono per cifre molto variabili, alcuni a 150 euro, altri pure il doppio”.

Forse adesso si capisce meglio perché in queste settimane, proprio quando i medici morivano a decine anche per la mancanza di test che gli permettessero di lavorare in sicurezza, ci sono stati diversi personaggi del bel mondo patinato che hanno affermato di aver fatto il test ed essere risultati negativi, con grande sollievo dei loro fans.

Possibile, eppure, uno degli istituti chiamati in causa, come il San Raffaele, avrebbe replicato, sempre secondo la Stampa, che “i tamponi sono stati eseguiti negli ambulatori San Raffaele Resnati in regime di medicina del lavoro fino a una decina di giorni fa, ad alcune aziende o Rsa che chiedevano di poter lavorare in sicurezza. Ma che a nessun privato nemmeno a pagamento è stato effettuato il test”. In sostanza, chiosa il giornalista Fabio Poletti, “aziende private in convenzione pagavano per quello che non riuscivano ad ottenere dalla sanità pubblica”.

Benissimo, una mezza ammissione di come funziona la sanità privata, cosa più che prevedibile dato che già 15 anni fa il vignettista Mauro Biani, parlando della Sicilia, scriveva: “ci siamo accreditati fino al collo”.

Una vignetta di Mauro Biani pubblicata sul mensile di satira “Pizzino”, giugno 2016

Ma quella era la Sicilia, mica l’operosa Lombardia. Oggi, invece, un sistema sanitario regionale che si definisce all’avanguardia come quello lombardo, sembra non accorgersi che si potevano fare da tempo più tamponi a quelli che erano i soggetti più esposti, cioè i medici. Tanto tempo perso a parlare di guerra e di trincee e poi mandare “in prima linea “i medici lasciando che le aziende, alcune aziende e personaggi vari avessero la priorità. Continua a leggere

Decalogo per il tavernaro palermitano in tempi di coronavirus

1) Il tuo vicino di bancone non ti da più la mano? È un vastaso, lassici dari u’ culu.

2) Niente baci e abbracci. Vai direttamente al sodo. Oppure mettiti un preservativo pure in testa. Poi però non ti lamentare se ti chiamano testa di m.

3) Sei senza fazzolettini e devi starnutire? L’olio delle panelle ammazza pure u megghiu virus ca si senti.

4) Mantieni la distanza di un metro. Comu ti l’ha’ diri? Senza ammuttari! Arrasati!

5) Con la mascherina la vita del bevitore non è facile, vero è, ma manco ti devi presentare con l’imbuto ‘mpiccicatu cu scocci. Fai impressione. E cu ti senti, dottor Aus?

6) Se qualcuno ti lascia mezzo bicchiere, rifiuta. O sano o nenti. Questa lezione non te la scordare, puru ca passa l’epidemia.

Bartolomeo Manfredi, Riunione di bevitori, 1620

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Un vaccino per Report

Report e quel poco di libera informazione di inchiesta che rimane Italia sono visti da buona parte della politica e dalla grande industria (praticamente una coppia di fatto) come un pericolo da eliminare. Magari con un vaccino. Che poi ne esiste già più di uno: le querele milionarie per diffamazione, la censura di stato, e le puntate “riparatorie”. Che poi già il solo fatto di parlare di puntate “riparatorie” ci sposta sul delicato terreno nella fede, là dove dare la notizia è peccato, ricoprirsi il capo di veline ministeriali è segno del pentimento, non essere cacciati a pedate è segno del perdono.

Tutto è bene quel che finisce bene, ma in questa storia rimane qualcosa, un senso di colpa permanente che vorrebbero inculcare a quei giornalisti che cercano di far bene il proprio lavoro, assumendosene i rischi e con onestà intellettuale, sapendo che si può sbagliare ogni tanto, qualche fonte può essere meno “limpida” di quel che sembrava (succede anche alle procure), qualche tono può essere sopra le righe. Chi per mestiere racconta i fatti sa che non esiste la “clausola” di infallibilità, quella ce l’ha solo il papa. E così il senso di colpa spesso si traduce nel peggiore dei mali per chi esercita la professione di giornalista. Quel male si chiama “autocensura”. Quel male per i poteri forti è il più potente dei vaccini.

Gianpiero Caldarella

Fotti-Fotti-Day

Il Fertility Day poteva essere un gran successo. Sì, perché fin dal suo annuncio si è capito subito che era una gran minchiata, o per essere meno truci, una cretinata. Stava tutta qui la genialata del Fertility day: l’aver capito che siccome la mamma dei cretini è sempre incinta, stimolare il clima di minchionanza collettiva non avrebbe che potuto fare bene al tasso di natalità del Paese.

Poi però è arrivato l’opuscolo del Ministero della Sanità con la copertina dove l’immagine degli “ariani” rappresenta il buono e giusto e l’immagine dei neri rappresenta il diavolo. Apriti cielo. La minchiata è diventata pure “razzista”. Sull’immagine non si scherza.

Sui contenuti però si può discutere perché se da un lato è vero che nell’opuscolo si parla degli stili di vita che potrebbero incidere negativamente sulla fertilità, come l’uso di droghe, di alcol, di sostanze dopanti e la sedentarietà, dall’altro lato si omette di dire che questi comportamenti si possono ritrovare in tutti i paesi sviluppati, eppure l’Italia ha il tasso di natalità più basso d’Europa. E quindi?

Quindi tra le cause dell’infertilità andrebbe trattato anche il problema del vivere in Italia e le responsabilità di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni che hanno dedicato una scarsissima attenzione ai problemi delle giovani coppie e si sono concentrati sul malloppo. Risultato: siamo arrivati al minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia ad oggi e contemporaneamente siamo il paese europeo con il maggior tasso di corruzione. Il fotti-fotti dilaga. Detto diversamente, nonostante ci inchiappettino da ogni lato ci ostiniamo a non riprodurci. Non bisogna comunque perdere la speranza.

E se organizzassero un Fotti-Fotti-Day?

Gianpiero Caldarella