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Panta rei. Due libri per uscir fuori dal pantano

Ogni tanto bisognerebbe mettere un punto fermo su questioni che sembrano da sempre scivolosissime. E la mafia è una di queste questioni, forse la principale per un Paese che ha fatto di questo marchio, o “brand” se preferite, uno dei maggiori veicoli dell’italianità.

Di storie ce ne sono tante, di cronisti meno che una volta, di storici pochi, di narratori illuminati quasi nessuno.

Certo, questa riflessione arriva a distanza di due anni dalla pubblicazione de “Il padrino dell’antimafia”, sottotitolo “una cronaca italiana di un potere infetto”di Attilio Bolzoni e ad un anno di distanza dall’uscita in libreria de “La notte della civetta”, sottotitolo “storie eretiche di mafia, di Sicilia, d’Italia”, di Piero Melati. Entrambi i libri sono pubblicati da un editore milanese, “Zolfo”.

Ora, dato che tutto scorre, questi due libri dovrebbero essere ormai “datati”, fuori dai radar della grande – o piccola – promozione del mercato editoriale e, non trattandosi di romanzi o storie di fantasia, i fatti che sono raccontati al loro interno dovrebbero essere stati superati dalla realtà.

Niente di più falso. La realtà, o meglio, le realtà che sono raccontate in questi due libri riescono a modificare il modo in cui percepiamo il nostro presente, dandoci qualche strumento per anticipare le mosse che verranno, come in una partita a scacchi. Dall’altra parte della scacchiera c’è la mafia.

Una mafia che non è altro da noi, dalla Sicilia o dall’Italia, che non è solo un’organizzazione criminale, ma una rete di relazioni, di convenienze, di rette che non dovrebbero incontrarsi se non all’infinito e che invece si incrociano proprio davanti all’uscio di casa e spesso entrano anche dentro. Una mafia che non si potrà mai battere se prima non la si comprende.

E per comprenderla bisogna sentirne il respiro, ma occorre anche avere la fortuna di imbattersi in qualcuno che la sappia raccontare senza nessuna presunzione di fare il professore, senza fermarsi, in un movimento continuo che somiglia ad una danza attorno ad un oggetto che cambia continuamente forma. Una danza ha sempre una musica che la accompagna. 

Nel caso di Melati, de “La notte della civetta”, questa musica è un blues a tratti straziante. C’è un desiderio di libertà che nasce dal dolore; in catene non c’è uno schiavo nelle piantagioni di cotone, ma un’intera città, Palermo, che attraversa gli anni ‘70 e ‘80 quasi in apnea, in una grande vasca ricolma di sangue ed eroina. All’autore spetta il gravoso compito di essere un testimone di quegli anni, di quei fatti, che segue da cronista per il giornale L’Ora, fino al maxiprocesso. Un testimone non impermeabile, a tratti si ha la sensazione di sentire tra le righe il suo battito cardiaco che accelera nel ricordare certe strade, suoni di sirene, incontri nei palazzi di giustizia. Un uomo che con grazia e lucidità mette il lettore in guardia dal rischio di trovarsi di fronte ad una realtà che per troppo tempo è stata tragicamente taciuta, e non solo per via del politicamente corretto, o di interessi specifici o deviati, ma più semplicemente per quelli che sono i limiti della “diretta”.

Un atto che somiglia al togliersi i sassolini o i macigni dalle scarpe. Non un atto di vendetta, ma un atto di amore verso la propria gente e le tante storie che partendo da Palermo hanno contribuito in modo determinante a costruire l’identità non solo della Sicilia, ma anche dell’Italia.

Anche se Melati non si pone mai la domanda, questo ispirato lavoro darà al lettore degli strumenti irrinunciabili per capire cosa è la mafia, com’è possibile che siamo arrivati a questo punto, cosa dovremmo attenderci e come i nostri corpi e le nostre menti, per quanto si sentano assolti, siano lo stesso coinvolti.

Tornando alla danza, nel caso di Bolzoni, autore de “Il padrino dell’antimafia”, la musica che accompagna il suo lavoro potrebbe essere un rock con contaminazioni di elettronica.

Finalmente qualcosa di nuovo. Qualcosa che ci permette di capire a distanza ravvicinatissima come l’ascesa e la caduta di uno dei maggiori protagonisti dell’antimafia istituzionale – non un “eroe”, neanche tra virgolette – possa raccontare della trasformazione della mafia negli ultimi due decenni almeno. Non si tratta solo di mettere a fuoco la crisi in cui versa da anni il movimento antimafia attraverso il racconto della parabola umana e giudiziaria di Antonello Montante, ex delegato nazionale di Confindustria per la legalità. Quello è lo spunto per entrare in un labirinto dove potere economico, potere delle istituzioni e potere mediatico si incrociano in nome di un interesse che non è certo l’interesse dei cittadini. Il risultato è la creazione di un “mostro”; ma del “santino”, dell’immaginetta di Montante ce ne facciamo ben poco se non comprendiamo che quello è solo l’effetto. 

Volete che vi parli della causa o delle cause? Non lo farò, quelle sono sempre le stesse, in più di 150 anni della storia della mafia.

Quello che qui interessa è il metodo, il procedimento, il come OGGI si riescano ad ottenere certi risultati. E Bolzoni in questo è magistrale, nel prenderci per mano e condurci in un labirinto dove ad ogni angolo si fanno incontri inaspettati, dove si comprende plasticamente che il potere su cui si fonda la nuova identità delle vecchie organizzazioni criminali si basa più sulle informazioni e sull’immagine che sulle armi. Un percorso che a tratti rischia di far venire le vertigini, come l’assolo di una stratocaster che si fonde con i suoni di un sintetizzatore di ultima generazione. Un “sistema” tanto modernamente ben strutturato quanto quasi perfetto quello raccontato da Bolzoni. L’unico tarlo che poi farà crollare il castello sarà proprio il “fattore umano”, il carattere di Montante, troppo eccessivo. Un libro che, attraverso il peggio dell’antimafia vista in questi anni, parla della mafia, di cosa è diventata, di come è in grado di organizzarsi e compromettere lo Stato, del come si muovono certe pedine nella scacchiera e di come certe antiche metafore su pupi e pupari funzionino ancora a dovere.

La modernità in fondo non è altro che la tradizione 2.0.

Due libri per uscire dal pantano scrivevo nel titolo. Il pantano costituito dalla retorica e dalle liturgie che spesso rappresentano uno di quei veli che ci impediscono di capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di mafia. Quando ne parliamo oggi.

E oggi, come ieri, non c’è contenuto che non meriti di avere una forma.

O, se preferite, anche il contrario.

Buona lettura! Se siete arrivati fin qui le vere letture per voi inizieranno un po’, quando avrete fra le mani questi due libri. 

Gianpiero Caldarella

Decalogo per il tavernaro palermitano in tempi di coronavirus

1) Il tuo vicino di bancone non ti da più la mano? È un vastaso, lassici dari u’ culu.

2) Niente baci e abbracci. Vai direttamente al sodo. Oppure mettiti un preservativo pure in testa. Poi però non ti lamentare se ti chiamano testa di m.

3) Sei senza fazzolettini e devi starnutire? L’olio delle panelle ammazza pure u megghiu virus ca si senti.

4) Mantieni la distanza di un metro. Comu ti l’ha’ diri? Senza ammuttari! Arrasati!

5) Con la mascherina la vita del bevitore non è facile, vero è, ma manco ti devi presentare con l’imbuto ‘mpiccicatu cu scocci. Fai impressione. E cu ti senti, dottor Aus?

6) Se qualcuno ti lascia mezzo bicchiere, rifiuta. O sano o nenti. Questa lezione non te la scordare, puru ca passa l’epidemia.

Bartolomeo Manfredi, Riunione di bevitori, 1620

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5 Stelle a Palermo: com’è che i partiti liquidi sono rimasti a secco

La forma è sostanza. L’appuntamento nazionale che il Movimento 5 Stelle si è dato a Palermo il 24 e 25 settembre è stato qualcosa di fuori dall’ordinario, di “eccezionale”, che racconta di un mutamento sociale ed antropologico in atto nella società italiana, o almeno in una sua parte “rilevante”. Starebbe proprio in quest’aggettivo, “rilevante”, la differenza con la storia di altri partiti d’opposizione in Italia, che se da un lato hanno risposto all’esigenza di rappresentatività delle minoranze, dall’altro non si sono mai posti l’obiettivo di superare gli steccati in cui altri li avevano rinchiusi o in cui essi stessi si erano rifugiati. Non è neanche necessario toccare i contenuti per rendersi conto che la “pericolosità” del Movimento, per i partiti tradizionali, non è solo il frutto della qualità delle sue proposte politiche ma soprattutto delle particolari modalità di partecipazione politica.

Cercherò di raccontare per punti quanto ho visto e le riflessioni che ne sono seguite.

Pomeriggio del 24. Parla il sindaco di Torino, Chiara Appendino. I numeri sono da concerto rock

Pomeriggio del 24. Parla il sindaco di Torino, Chiara Appendino. I numeri sono da concerto rock

LA PARTECIPAZIONE. I ragionieri delle cifre possono fare la lotta per anni (100mila? 50 mila? 4 gatti?), ma il dato veramente significativo è che il prato del Foro Italico era gremito di persone, come se fosse il giorno del Festino di Santa Rosalia, patrona della città, o il “grande evento” della visita di Papa Benedetto nel 2010. Ma se in quei casi era la fede a muovere le masse (o la qualità dei gruppi musicali proposti alla fine del Festino), in questo caso era palpabile la voglia di partecipazione politica. Nel capoluogo siciliano in quei giorni era difficile trovare posto in albergo e qualcuno ci ha anche speculato alzando i prezzi, e basterebbe questo indicatore per dirci che, al di là dei dati forniti dalla questura o da qualche organo di stampa, a riempire alberghi e b&b erano persone in carne ed ossa e non profili facebook o troll esaltati. Famiglie venute in autobus da Cosenza con figli al seguito, attivisti friulani che hanno preso l’aereo per venire sino a Palermo, signore ultraottantenni venute dalla Capitale, gruppi di ragazzi scesi dalla Puglia in auto. E tanti siciliani allettati dalla prospettiva di trasformare la Sicilia nella prima regione a guida pentastellata.

Sera del 24. Un relatore sul palco. Tutti in piedi ad ascoltare

Sera del 24. Un relatore sul palco. Tutti in piedi ad ascoltare

Giusto per avere un termine di paragone, è impossibile non pensare alle Feste dell’Unità nazionali, dove i discorsi dei leader (segretario di partito e dirigenti o ministri nel caso di centrosinistra al governo) sono seguiti da una minoranza esigua delle persone che visitano la festa. Cifre a due zeri o a tre quando va bene, ma non certo a 4 zeri come nel caso della kermesse dei 5 stelle a Palermo. Diciamocelo senza ipocrisie, alle feste del PD i più vanno per comprare qualcosa agli stand o mangiare la salamella o ascoltare il gruppo musicale di grido a fine giornata. Sino ad arrivare ad esperienze “stellari” come l’aver invitato (indebitando il partito) quest’anno il capitano Kirk di Star Trek a Bologna per cercare di attirare gente.

Sera del 24. Sul palco salgono i musicisti. Si crea qualche buco sul prato, la gente si siede, qualcuno riposa

Sera del 24. Sul palco salgono i musicisti. Si crea qualche buco sul prato, la gente si siede, qualcuno riposa

Ma il dato più interessante è un altro. Chiunque sia stato al Foro Italico il 24 e il 25 settembre avrà notato che durante i pochi intermezzi musicali molta gente si allontanava dal parco centrale lasciando dei buchi che permettevano ai più pazienti di sedersi e riposarsi un po’. Quando poi tornavano sul palco gli oratori (e ciò vale non solo per i “big” del partito, ma anche per i meno noti parlamentari o i consiglieri regionali) la gente tornava in massa ad avvicinarsi al palco. Questi spostamenti dimostravano che quella gente era lì per ascoltare qualcosa di politico e non per distrarsi una serata. Non mi sembra una differenza da poco.

L’ASCOLTO. Molta gente ha partecipato a questa due giorni non solo per ascoltare, ma per farsi ascoltare. E gli amministratori locali, i consiglieri regionali e i parlamentari del Movimento 5 Stelle non si sono lasciati sfuggire questa occasione.

Uno dei dibattiti. Il pubblico ascolta a distanza ravvicinata

Uno dei dibattiti. Il pubblico ascolta a distanza ravvicinata

Decine di dibattiti molto partecipati sui temi più disparati -dall’immigrazione alle politiche energetiche, dalla lotta alla mafia in giacca e cravatta alle proposte su scuola e università- hanno consentito a migliaia di persone di avere un’idea su quello che il Movimento 5 Stelle propone. Per alcuni di loro è stata una formazione di base, per altri un’occasione per colmare delle lacune, per altri ancora la possibilità di essere ascoltati. I relatori non stavano seduti dietro a un tavolo, ma in piedi, spesso in mezzo alla gente, quasi a voler annullare la distanza fra chi parla e chi ascolta.

Uno dei dibattiti. I parlamentari ascoltano

Uno dei dibattiti. I parlamentari ascoltano

Ma i momenti di confronto tra politici e cittadini continuavano sul prato o su via Messina Marine dove anche i parlamentari giravano tranquillamente senza scorta, senza un codazzo di questuanti, senza preoccupazione, come se fossimo in un qualunque paese europeo. Non c’erano favori da chiedere. Non c’era gente incazzata che rimproverava loro di aver rubato . Praticamente un film inedito (o quasi) in Italia. Continua a leggere

ZTL a Palermo? Tranquilli, tutto pass

Quanti di voi conservano ancora il pass della ZTL istituita nel 2008 dall’allora sindaco Diego Cammarata? Io sì e la conservo gelosamente e altrettanto vi consiglio di fare. Sembra infatti che sul mercato nero i collezionisti di “patacche amministrative” se li contendano a suon di piccioloni. Infatti sono più ricercati dei Granchi Rosanero. Eppure qualcosa potrebbe rovinare il mercato, cioè l’immissione sulla piazza di altre decina di migliaia di pass patacca. Se a istituire la prima ZTL (durata poco più di un acquazzone estivo) in quel modo ci voleva un genio, a proporre la seconda -in questo modo- ci poteva riuscire solo un super genio, Leoluca Orlando, un sindaco che “la ZTL la sa fare”. Chissà dove avrà preso l’ispirazione, che nel 2008 a Milano c’era la Moratti e il clima era un po’ diverso, come racconto in questo pezzo andato in onda allora su Radio24 e poi pubblicato nel libro “Sdisonorata Società” (Navarra Editore, 2010):

“Cara signora Moratti, le rivolgo un appello a nome di tutti i palermitani: la prossima volta che a Milano decide di fare qualcosa per salvaguardare la salute dei suoi concittadini, per cortesia, cerchi di non farlo sapere in giro.

Mi riferisco al provvedimento sulle ZTL, le zone a traffico limitato, che visto da Palermo sembrava un’idea bellissima: meno smog e più piccioli per le casse comunali! Il sindaco Cammarata pare che si è pigliato d’invidia. E che siamo più fessi dei milanesi noi? E così 300.000 palermitani, compreso il minchione che sta parlando, hanno fatto il pass, che per averlo non è bastata una giornata in coda agli sportelli.

Una vignetta-recensione inedita di Ellekappa sul libro. Non l'ho mai fatta girare (che minchione) ma conservo gelosamente l'originale

Una vignetta-recensione inedita di Ellekappa sul libro. Non l’ho mai fatta girare (che minchione) ma conservo gelosamente l’originale

Purtroppamente per lui, però, questi pass che dovevano durare un anno sono serviti solo per due settimane dato che il Tar, dopo una valanga di ricorsi, ha sentenziato che il provvedimento era illegittimo e le zone a traffico limitato non potevano essere istituite perché Palermo non ha un piano per la mobilità urbana che preveda anche parcheggi e altre cose ancora. E ora? Continua a leggere