“Morto un papa se ne fa un altro” era la regola Oltretevere. Poi arrivò Ratzinger e scompigliò le carte. Fu la fine di un proverbio e tutti dovemmo fare i conti con una nuova figura: l’emerito.
“Il segretario non può che essere una persona pulita, anzi pulitissima, meglio ancora se usa e getta” era la regola del Nazareno. Otto segretari del Pd fatti fuori in 13 anni. Solo i ct del Palermo calcio nell’era Zamparini duravano meno. Poi arrivò Zingaretti e scompigliò le carte. Se sarà la fine della “sindrome da Conte Ugolino” che attanaglia il Pd è presto per dirlo.
Il fatto è che Enrico Letta oggi si trova nella stessa posizione che occupò Jorge Maria Bergoglio il 13 marzo 2013, quando venne proclamato Papa. Se nel Pd avessero anticipato di un giorno la votazione del nuovo segretario, avrebbero potuto festeggiare la “fumata bianca” ed insieme l’anniversario del pontificato di Papa Francesco.
Ma veniamo a noi e facciamo un passo indietro. Iniziamo col chiederci se esistono delle ragioni per cui le situazioni dei due “emeriti”, Ratzinger e Zingaretti, possano essere paragonate. Entrambi si sono dimessi con magna sorpresa di tutti e con il presagio di tante amarezze per non pochi. Chi crede che sia solo Renzi a dover “stare sereno” vede solo la punta dell’iceberg. Entrambi hanno in qualche modo tracciato la strada per la loro successione, puntando su dei “panchinari” di lusso, dall’aspetto mite, ma molto determinati e con le mani meno legate delle loro. Entrambi avevano un grosso problema, le correnti interne e la gestione dei denari. Se Oltretevere il problema erano anche e soprattutto gli appetiti legati alla gestione delle finanze vaticane e dello Ior, il problema interno al Pd (e non solo) sarà quello degli appetiti legati alla gestione del “Next Generation EU”, i 209 miliardi in arrivo dall’Europa.

E adesso facciamo un passo avanti. Il primo passo di Papa Francesco è stato quello di spogliarsi dei simboli del potere terreno, dall’abbigliamento sfarzoso, ai gioielli ingombranti, alle auto di rappresentanza, alle residenze di lusso. Il tutto per riavvicinare i credenti alla Chiesa, rivoluzionando nelle forme e nella sostanza l’identità del Vaticano e facendosi non pochi nemici all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Il primo discorso di Enrico Letta è stato improntato sulla necessità di riavvicinare i giovani -con un endorsement, guardacaso, a Papa Francesco- e le varie “anime” del centrosinistra al Pd e soprattutto quello di smetterla di essere “il partito del potere” (che tradotto dal politichese, significa, smetterla di essere percepiti come tali). Fin qui solo parole, ma chi cerca di intravedere affinità e divergenze fra i due “Enrico”, Berlinguer e Letta, mettendo sotto la lente di ingrandimento i discorsi del segretario più amato del vecchio Pci, credo stia commettendo un errore. Forse sarebbe più opportuno tenere d’occhio l’emerito, Zingaretti, per comprendere quali saranno le prossime mosse di Letta. Che non è solo colui che dovrà rivoluzionare il partito, non è solo il protagonista di un nuovo corso come lo è stato Bergoglio, ma è anche una vittima della vecchia politica. Che in fondo, tanto bella non è, con buona pace di Veltroni. E questo chi ha pagato il prezzo delle proprie (ed altrui) scelte sulla sua pelle lo sa bene. La maturazione di un essere umano -figuriamoci di un leader-, in fondo, consiste anche nel saper distinguere tra vendetta e giustizia, tra avversari e nemici, tra politica ed affari.
Un segretario pulito a questo punto potrebbe servire poco al Pd o all’Italia. Che vista da Parigi, dove lavorava Letta o da Francoforte, dove viveva Draghi, forse dava un’immagine più nitida di sé, delle sue ricchezze e dei suoi mali. Adesso è il momento delle grandi riserve della Repubblica.
Chissà che i “panchinari” non facciano meglio dei titolari.
Gianpiero Caldarella