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La “montagna di merda” non profuma di rose

Stamane il notiziario delle 8 su Radio1 non ha detto neanche una parola su Aldo Moro e Peppino Impastato, uccisi entrambi il 9 maggio 1978. In realtà c’era un solo generico accenno alla giornata della memoria delle vittime del terrorismo, solo una data per Moro e il nulla su Impastato. Certo, Radio Rai, che rimane un ottimo esempio di servizio pubblico, capace di coniugare qualità dell’informazione e pluralismo, oggi dedicherà delle trasmissioni a questi due grandi uomini del nostro recente passato. 

Moro e Impastato, all’apparenza così distanti nei modi e nello spazio, avevano in realtà qualcosa in comune: entrambi lottavano per qualcosa che avrebbe cambiato in meglio il Paese. 

Moro era uno dei protagonisti di quel processo chiamato “compromesso storico” e la stretta di mano tra il segretario della DC e l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, era qualcosa di impensabile per chi voleva continuare a costruire muri. Uno “scandalo” per i falchi dell’epoca, per gli instancabili promotori della guerra fredda e con le dovute proporzioni, quando oggi sentiamo Zelensky che apre alla Russia dicendo di essere disposto a “cedere” la Crimea pur di far cessare la guerra e un attimo dopo sentiamo intervenire il presidente della Nato che sconfessa Zelensky dicendo che la Crimea non si tocca, si ha la sensazione che il presidente ucraino rischia di più a non allinearsi alle posizioni della Nato che a continuare la guerra con Putin. Detto ciò, è chiaro che la distanza in termini di spessore politico e umano tra Moro e Zelensky è un abisso. 

Impastato, giù in Sicilia, a Cinisi, a suo modo lavorava anche lui per una sorta di “compromesso storico”, quello tra attivisti contro la mafia e società civile, ridicolizzando la mafia e cercando di far sì che a lottare contro di essa non fossero solo le parti migliori della politica (penso a Pio La Torre o a Piersanti Mattarella) o delle forze dell’ordine o della magistratura (e qui non faccio nomi perché l’elenco sarebbe troppo lungo). Quando Impastato, da militante comunista, diceva che “la mafia è una montagna di merda”, non intendeva dire solo che è orribile o che puzza da morire, ma che tutti possiamo calpestare quella merda, che un solo uomo, anche il più scrupoloso dei professionisti, non può fare tanto, ma una società attenta, coesa e solidale può spazzare via quella merda e può anche sbeffeggiarla.

Oggi sembrano scomparsi o quantomeno ridimensionati dalla “grande” informazione, come se fossero tornati ad essere scomodi. A dire il vero il percorso di “riabilitazione” della figura di Impastato è stato lungo e per più di un decennio la macchina del fango su di lui ne ha dette di tutti i colori (estremista, terrorista, ecc. ecc.). Alla fine, grazie al processo, alla caparbietà dei suoi compagni e alla popolarità del film “I cento passi”, è stata ristabilita la verità. Ciò non toglie che l’antimafia sociale, quella dal basso, senza finanziamenti e sponsor istituzionali, oggi più di ieri, non ha vita facile. E fare antimafia, soprattutto in Sicilia, non significa ripetere facili slogan (quello lo sapeva fare anche Cuffaro), ma impegnarsi nella ricerca della verità, denunciare le storture, schierarsi con il più debole e a volte semplicemente avere il coraggio di dire che “il re è nudo”.

Moro invece, in quanto grande statista ed uomo di Stato, è stato dipinto da subito come un “martire”, probabilmente anche da quelli che hanno responsabilità sulla sua morte, ma dopo 44 anni il processo di verità che dovrebbe svelare le trame che ci sono state dietro il suo assassinio, sono ancora oscure. Ma quello che più importa è che il metodo politico di Aldo Moro è stato archiviato anche da quelli che sarebbero dovuti essere i suoi eredi. Di “compromessi” non si parla quasi più, si rialzano i muri e le armi inviate in giro per il mondo, a partire dall’Ucraina, sostituiscono il ruolo della diplomazia e delle parole.

Pertanto oggi diventa più importante che mai ricordare i loro esempi di vita, avendo il coraggio di scomodare i potentati, a qualunque livello, dal nazionale al locale, prima che qualcuno, poco alla volta, con la propaganda e le “amicizie che contano”, faccia passare il messaggio che “la montagna di merda” profumi di rose. 

Gianpiero Caldarella