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Il Fly Eye insegna: il Parco delle Madonie andrebbe abolito

Cari madoniti, diciamolo chiaramente: il Parco delle Madonie andrebbe abolito senza tante discussioni. Che senso ha mantenere dei vincoli ambientali solo per chi ci vive, quando i Comuni in primis, non fanno altro che promuovere politiche di devastazione ambientale? Progetti di funivia tra Campofelice e Piano Battaglia, progetti di ponti sospesi, panchine giganti, colate di cemento in aree protette e tutto in nome di uno sviluppo turistico senza capo né coda.

Programmazione zero, manutenzione dell’esistente zero, meccanismi di partecipazione ai progetti di sviluppo del territorio inesistenti. E intanto le strade cadono a pezzi e rendono pericolosi e costosi i nostri spostamenti, i rovi e le piante invadono le carreggiate, i collegamenti tra i comuni del comprensorio sono scarsi e nella stagione estiva si riducono (vedi la corsa mattutina da Castelbuono a Isnello che si interrompe con la fine della scuola), mentre i tempi di attesa delle ambulanze sono indefiniti. In Africa dicono che Dio non ha fretta. Tutto arriva per chi sa aspettare.

E adesso come se non bastasse, con l’ultima vicenda del telescopio Fly Eye il potere ha buttato giù la maschera. Il Governo ha dichiarato l’opera di interesse strategico per la nazione e quindi si può costruire e cementificare su Monte Mufara, in barba a qualunque legge sui parchi e sulle aree protette. Da un certo punto di vista, questa “vittoria” eticamente equivale a un “condono”, diciamo una sorta di “condono preventivo”, dato che l’autorizzazione a costruire ci sarà in sfregio alle regole che valgono per tutti, in sfregio all’ambiente e alle generazioni future.

A proposito, avete memoria di progetti di interesse strategico per la nazione che non siano fatti in nome di interessi per la Difesa, cioè di interessi collegati agli asset militari? Anche il MUOS di Niscemi, la base della marina militare americana nel sud est della Sicilia con radar potentissimi ha avuto più o meno lo stesso “percorso strategico” di approvazione. Certo, le similitudini non confermano nulla, ma non si può escludere che ci sia più di quanto ci raccontano. 

Rimane comunque una vittoria della scienza, che tutti i comuni madoniti hanno supportato con il massimo impegno, scrivendo comunicati congiunti, cercando incontri alla Regione e al Ministero, sforzandosi in ogni modo per far sì che l’eccezione prevalesse sulla regola.

E del resto gli scienziati e i cultori delle scienze astronomiche non mancano di certo all’interno delle amministrazioni madonite e a loro vanno i più stellari complimenti. “Il Fly Eye si deve fare, è indispensabile per il territorio”, ripetevano come un mantra. È singolare il fatto che su una ventina e passa di comuni che hanno sottoscritto appelli per il Fly Eye, solo in tre abbiano in questi anni aderito al Gal Hassin come soci. Solo Castelbuono, Collesano e Petralia Sottana, oltre che Isnello a cui appartengono le strutture e che ha messo su la Fondazione. Il loro amore per la scienza non vale quando ci sono da pagare mille euro o poco più? Credono che l’amore per la scienza non meriti una spesa che normalmente si affronta per la sagra della salsiccia ballerina?

In ogni caso, il Gal Hassin, struttura scientifica dal glorioso futuro nata nel 2016, che finora ha sofferto per mancanza di fondi tanto da fare ripetuti appelli alle istituzioni regionali e nazionali, può tirare un sospiro di sollievo. Le ristrettezze economiche potrebbero alleviarsi, come emerso anche nella riunione del Consiglio del Parco delle Madonie del 22 aprile 2002 (https://scomunicazione.wordpress.com/2022/04/24/quale-progetto-per-monte-mufara-lettera-aperta-al-sindaco-di-isnello-marcello-catanzaro/). La scommessa è vinta, la scienza ci salverà o si salverà, a seconda del punto di vista. E chi può dirsi contrario alla scienza? Certo, sarebbe bello se una struttura scientifica tanto all’avanguardia come il Gal Hassin non dovesse più soffrire di crisi legate al denaro e alla programmazione, se la gestione fosse affidata all’Università, o ad un istituto nazionale o europeo di ricerca. Al momento infatti, è controllato (tre dei cinque membri del CdA sono nominati dal Consiglio comunale di Isnello) e sostenuto, per quel poco che si può, anche economicamente con i pochi fondi a disposizione nelle casse di un piccolo comune di poco più di mille abitanti. Potete immaginare le competenze di un consigliere comunale, nessuno escluso, nello scegliere i membri del CdA di un ente dalla missione tanto delicata.

Intanto, fra le tante cose non dette dagli amanti della scienza, c’è il discorso sul “vile denaro”. Questo progetto infatti costerà circa 20 milioni di euro nelle previsioni, soldi dell’Esa per intenderci. Che fa li dovevamo perdere? L’Esa, per chi ha un po’ di memoria, a marzo aveva dichiarato che se entro un paio di mesi non si sbloccava l’iter per Monte Mufara, sarebbe andata alle Canarie dove ancora stanno aspettando che arrivi il mese di giugno.

Ma cerchiamo di essere elastici così se la montagna ci sente comincia a stiracchiarsi, del resto la sua cima dovrà essere livellata per ospitare una bella colata di cemento di 840 metri quadri (di cui 480 coperti e 360 di piazzale) per un’altezza che sfiora i 14 metri. E vogliamo parlare dei consumi? Più o meno equivalenti al consumo standard di quasi 900 famiglie (più di 2300 MWh annui). È come se collocassimo un intero paese in cima alla montagna. Del resto se la faggeta sarà incompatibile con il microclima che si creerà sulla Mufara potremo sempre piantare delle palme. Chissà quanti turisti, una piccola California.

E grazie alla scienza, non rischieremo più di essere investiti dai detriti spaziali, che la munnizza è un problema anche nell’universo. Per quella lungo le strade, ci stiamo attrezzando. Intanto fate attenzione a non essere investiti da un cinghiale. Dovrebbe diventare la mascotte del Parco delle Madonie il cinghiale, l’esempio più lampante di come una programmazione accurata sia destinata a raccogliere risultati eccellenti. Tutto sotto controllo. Cinghiali e daini li faremo pascolare sulla luna. Basta guardare le stelle e i piccoli problemi di noi umani sembrano sparire. Cosa volete che siano le Madonie di fronte ai Bastioni di Orione? Quisquiglie!

Vi piace la prospettiva? Saremo tutti più ricchi, quindi tanto vale che il Parco delle Madonie venga soppresso e considerato inutile e antistorico. Ricordatevene fra dieci o venti anni quando nessuno si assumerà la paternità di quello che sta accadendo oggi e magari la natura chiederà il conto.

Gianpiero Caldarella, con la collaborazione di Pino Di Gesaro e Filippo Alfonso

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Isnello e il bando borghi. Il Medioevo della democrazia

L’ANTEFATTO

Isnello nella primavera del 2022 è stato fra i comuni vincitori del cosiddetto “Bando Borghi”, promosso dal Ministero della Cultura per valorizzare i piccoli Comuni, dandogli un’opportunità di resistere allo spopolamento. Hanno partecipato molti piccoli comuni, e nel comprensorio, oltre ad Isnello, i progetti selezionati sono stati quelli dei Comuni di Gratteri, San Mauro Castelverde e Polizzi Generosa.  

LE CIFRE

Il Comune di Isnello è stato risultato assegnatario di € 1.344.000 per il bando che serviranno per la demolizione dell’edificio delle poste nella centrale Piazza Mazzini e la costruzione di un nuovo edificio polivalente, per un importo che sfiora il milione di euro e servirà come infopoint, sede del museo Trame di Filo e lì verrà trasferita una sezione della biblioteca comunale.

L’immagine dell’edificio che sorgerà in Piazza Mazzini, da molti ormai conosciuto come “tabbobbio”

La restante parte del finanziamento (circa  350 mila euro) verrà usata per avviare progetti di rigenerazione urbana (ricordiamo che il fine ultimo è il contrasto allo spopolamento) con quasi una decina di partner che hanno firmato dei protocolli d’intesa con il Comune. Gli unici partner che si sono fatti avanti ad Isnello dopo la pubblicazione dell’avviso da parte del Comune sono, la Pro Loco (destinataria secondo il protocollo di intesa di 40 mila euro) e la Fondazione Gal Hassin (59 mila euro). Altri partner sono l’Ente Parco delle Madonie come partner istituzionale, Le Vie dei Tesori (29mila euro), Southworking (43 mila euro), Jacopo Fo srl (42 mila euro), la T Global (36mila euro), la EU Consulting (30mila euro), Mercadante srl (19 mila euro) e Associazione Lympha (50 mila euro). Quest’ultima è l’unica che dovrebbe cofinanziare con cinquemila euro l’azione proposta, tutti gli altri soggetti non hanno impegnato nessun euro. Certo, assisteremo a dei bei concerti, seminari di filosofia, brillanti post sul sito de Le Vie dei Tesori, ma cosa resterà alla fine alla comunità? La finta Stonehenge di Jacopo Fo, qualche schermo con alzata elettrica per il Gal Hassin, ma in che modo la comunità potrà crescere se non è stata considerata nella sua interezza come protagonista e non è stata coinvolta fin dall’inizio in questo processo di rigenerazione? Nella migliore della ipotesi noi isnellesi saremo bravi spettatori di questo spettacolo, nella peggiore saremo come gli indiani d’America, costretti a chinarsi il capo nel ringraziare per le luccicanti perline portate in dono dai colonizzatori, che vengono sempre presentati come benefattori e non come abili soggetti che fanno impresa e per fare questo bisogna essere sempre attenti a non parlare di cifre.

A queste somme bisogna aggiungere la cifra di 645.664 euro che saranno utilizzati in favore di imprese esistenti sul territorio o che dovranno nascere, attraverso la partecipazione a un bando, promosso sempre dal Ministero dal Cultura, che si è aperto l’8 giugno e si chiuderà l’11 settembre.

Un bando molto vantaggioso perché prevede contributi fino a 75mila euro a fondo perduto al 90% e nel caso di nuove imprese con prevalenza giovanile o femminile fino al 100%.

A conti fatti, stiamo parlando di circa due milioni di euro che si muoveranno a breve sul territorio.

IL FATTO

Venerdì 30 giugno alle 17 presso il Centro Sociale di Isnello, il Comune organizza un incontro-conferenza per parlare di questo bando destinato alle imprese. Tra gli interventi previsti quelli del sindaco di Isnello Marcello Catanzaro, e del suo assessore Luciana Cusimano, del Project Manager della EU Consulting Rosario Genchi, del presedente della Commissione lavoro dell’ARS Fabrizio Ferrara, del sindaco di Collesano Tiziana Cascio, del Sindaco di Castelbuono Mario Cicero, del Commissario del Parco delle Madonie Totò Caltagirone, e del dottor Antonio Tumminello come rappresentante della Tumminello srl.

La locandina della conferenza

La qualità degli interventi è pregevole anche se le belle parole poco o nulla hanno a che fare con la “ciccia”, cioè su come è realizzato il bando, chi vi può partecipare, per fare cosa ecce cc. Per arrivare a quello bisogna aspettare le ore 19 con l’intervento del dott. Genchi della EU Consulting (società che si occupa di progettazione per bandi pubblici ed oltre ad essere partner del progetto l’ha anche redatto per conto del Comune di Isnello ed è stata per questo liquidata nell’aprile del 2022).

Dopo qualche domanda da parte del pubblico, interviene il capogruppo di minoranza in Consiglio Comunale ad Isnello, Gianpiero Caldarella, ponendo anzitutto all’attenzione della platea e dei pochi relatori rimasti (il sindaco Catanzaro cortesemente si allontana non appena interviene il consigliere di opposizione) la questione della tempistica. Infatti sono passati già 22 giorni dalla pubblicazione del bando e questo è il primo incontro pubblico che si realizza. L’11 settembre è alle porte e nel mese di agosto non è esattamente facile ottenere preventivi o confrontarsi con esperti. Inoltre, dato che nel corso della conferenza è stata data notizia anche di un altro avviso relativo a tre progetti che saranno seguiti gratuitamente dalla EU Consulting, se risulteranno vincitori di un bando promosso dal Comune che si chiude il 14 luglio, allora la retorica del “ci vuole una settimana” non è esattamente calzante. Ma soprattutto il consigliere Caldarella fa riferimento al fatto che il bando borghi nasce per mettere in rete le esperienze e i saperi presenti ad Isnello ed è già successo che per quanto riguarda i partner selezionati nel marzo 2022, tra la pubblicazione dell’avviso da parte del Comune, le manifestazioni di interesse da parte dei soggetti selezionati (che spiegavano in cosa consisteva l’azione che proponevano e quanto sarebbe costata, ma non abbiamo evidenza di nessun momento di selezione delle proposte giunte al Comune) e la firma dei protocolli d’intesa NON C’È STATO NESSUN INCONTRO PUBBLICO CHE STIMOLASSE LE REALTÀ CULTURALI E ASSOCIATIVE DI ISNELLO A PARTECIPARE. Ragion per cui chi conosce le dinamiche di Isnello può capire come mai hanno partecipato solo la Pro Loco e la Fondazione Gal Hassin. Da parte nostra siamo convinti che solo il massimo grado di coinvolgimento e di partecipazione della comunità locale può dare dei frutti duraturi. Per questo il consigliere Caldarella ha cercato di mettere in guardia l’amministrazione dal non commettere gli stessi errori, anche perché in quest’ultimo anno le associazioni di categoria a Isnello (artigiani, commercianti, allevatori…) non sono mai state coinvolte o chiamate a partecipare ad incontri, anche in vista di questo bando.

Un’altra considerazione fatta dal consigliere Caldarella è quella relativa al bando sulle imprese che dovrebbe prevedere una premialità, cioè dei punti destinati alle aziende all’interno delle quali sono presenti dei residenti nel comune di Isnello. Il Consigliere viene immediatamente smentito dal Dott. Genchi che afferma che questo tipo di premialità non c’è. In realtà il bando del Ministero della Cultura lo prevede e alla fine della conferenza il Consigliere Caldarella lo fa notare al Dottore Genchi che ammette in buona fede la svista che lo ha portato a rispondere in modo errato.

Un estratto dai criteri di valutazione del bando dove si parla di premialità per i residenti

E sempre a proposito di partecipazione della comunità locale, è stato fatto notare al Dott. Genchi che l’invito a partecipare alla conferenza è arrivato al presidente del Consiglio Comunale di Castelbuono e ai consiglieri, quasi sicuramente anche a quelli di Collesano, ma non ai consiglieri comunali di Isnello, che dovrebbero essere quelli maggiormente coinvolti dall’iniziativa.

Il Dott. Genchi ha risposto che da parte loro l’invito al Comune è stato spedito. Evidentemente, per l’ennesima volta, dentro il Comune di Isnello c’è qualcuno che tende a non trasmettere, a limitare la partecipazione, ad “oscurare il cielo” per usare termini cari a certi interpreti della democrazia che mal sopportano le critiche, il ruolo della stampa e quello delle minoranze. Del resto in questo caso si parlava di borghi e Montesquieu nel Medioevo non era ancora nato.

A questo punto è iniziato il patatrac, nel senso che il consigliere Caldarella, dopo appena tre minuti dall’inizio del suo intervento, è stato interrotto più volte dal pubblico (spesso ignaro e felice di poter sentire solo una campana) limitando di fatto il suo diritto di espressione e anche il diritto di rappresentanza, trattandosi di un evento organizzato dal Comune in cui egli ricopre il ruolo di consigliere.

Nonostante le altre interruzioni riesce a fatica parlare per altri quattro minuti dopodichè il sindaco, conclude la seduta dicendo che questo è un incontro tecnico, di non fare “polemiche inutili” e che se è il caso l’aspetto politico di questo percorso sarà affrontato in Consiglio Comunale. Ora, già l’utilizzo dell’espressione “polemiche inutili” è indice della considerazione che si ha per le minoranze e per il rispetto delle regole minime della democrazia (come la trasmissione degli atti, la trasparenza e il confronto), in più parlare di un “incontro tecnico” dopo due ore di excursus politici sulle buone intenzioni che animano il comprensorio appare come una bella parola priva di sostanza.

In realtà la sostanza potrebbe essere quella che si teme di non poter sfruttare a pieno i finanziamenti messi a disposizione dal Ministero e per questo si è cercato di coinvolgere anche Castelbuono e Collesano. Un buon affare per tutti, insomma. Cosa giusta, se non apparisse come un chiaro segnale che noi isnellesi non meritiamo tutti di essere coinvolti per tempo (magari qualcuno sì) ed essere informati a dovere, ma solo a cose fatte o quasi. Il copione si ripete, la sceneggiata della concordia del comprensorio funziona, ma solo per le feste comandate.

 Il fatto che se ne parlerà in Consiglio Comunale (dove qualche membro della maggioranza ha in più occasioni cercato di limitare i tempi della discussione dicendo che “in Consiglio si producono atti, non si fa campagna elettorale”) non è certo un rimedio efficace dopo tutto questo tempo sprecato.

E a proposito di Consiglio Comunale, dato che l’On. Ferrara parlava di “turismo delle radici” e di ritorno nei territori dei cittadini emigrati, è bene ricordare che gli isnellesi che vivono fuori non possono neanche seguire il Consiglio Comunale in diretta streaming perché la maggioranza ha bocciato questa proposta. Del resto la diretta streaming dei Consigli non c’era neanche nel Medioevo.

IL SEQUEL

Come se non bastasse, qualche ora dopo la fine della conferenza, quello che era il sindaco di Collesano fino a un mese fa, Giovanni Battista Meli, sulla sua bacheca Facebook pubblica un post in cui stigmatizza il comportamento del consigliere Caldarella paragonandolo ad una “nuvola fastidiosa” che per fortuna “passa veloce..oscura, disturba per qualche minuto.. poi fortunatamente va sempre via in fretta e il sole può così ritornare a splendere..”.

E aggiunge: “È triste e difficile prendere coscienza della realtà.. quella nuvola infatti rappresenta una parte importante del vostro Consiglio Comunale.

Ritengo infatti che indipendentemente dai ruoli diversi previsti.. i rappresentanti istituzionali in queste rare occasioni, dovrebbero sempre apparire uniti, compatti, dando priorità assoluta anche alla forma…nell’interesse esclusivo della comunità rappresentata.

Vorrei dire anche a questo signore.. non ricordo nemmeno il suo nome.. che ipotizzare interventi imprenditoriali realizzati soltanto da chi ha la residenza comunale…chiude le porte ai confini locali di un paese bellissimo che al contrario ha bisogno di aprire l’orizzonte, accogliendo con entusiasmo nuovi stimoli e nuova imprenditorialità..

Avere al contrario questa visione così chiusa, cupa e limitata nelle prospettive future è veramente preoccupante e molto triste.

Cosi facendo si ostacola la prospettiva di crescita,lo sviluppo e inevitabilmente ci si isola, allontanando i giovani dal nostro territorio.”

Replicare all’ex sindaco di Collesano non è difficile una volta che si conoscono i fatti e lo si può fare anche tra virgolette: “Al Sig. Giovanni Battista Meli, che non ho nessuna intenzione di privare di un nome e di un cognome, al contrario di quanto fa lui con l’eleganza che lo contraddistingue, vorrei ricordare che l’oscurità e l’opacità sono caratteristiche delle amministrazioni che considerano la trasparenza solo un pericoloso fastidio e qui eravamo in presenza non solo di un’omissione (l’invito non trasmesso) che ledeva i diritti della minoranza, cioè di una parte consistente della comunità, ma anche di un percorso progettuale monco rispetto alla partecipazione degli attori locali. Inoltre, rispetto all’affermazione “ipotizzare interventi imprenditoriali realizzati soltanto da chi ha la residenza comunale”, va detto che questa è una sua invenzione che non sta né in cielo né in terra, forse è il frutto di un sogno tra le nuvole mentre percorreva la funivia che dovrebbe collegare Campofelice a Piano Battaglia.

Personalmente ho parlato della possibilità che ci fosse una premialità per i cittadini residenti a Isnello, cosa che di fatto è vera, così come prevista nei criteri di valutazione del Ministero della Cultura. Quindi ad avere una visione chiusa, cupa, limitata, preoccupante e triste sarebbe il Ministero che ha finanziato il progetto del Comune di Isnello. Ma lei non poteva saperlo, le bastava apostrofare un rappresentante della comunità, magari per strappare un like al sindaco di Isnello, a qualche Assessore e Consigliere, al Presidente del Consiglio. Questi ultimi, piuttosto che prodigarsi per stimolare la partecipazione, o per difendere l’onorabilità del Consiglio Comunale, hanno dato un’ulteriore dimostrazione di come sia molto più facile cercare un capro espiatorio, perché se i progetti non vanno in porto non è perché non si lavora bene, ma perché l’opposizione dice la sua e non applaude quando parla il Sindaco. La democrazia è un’altra cosa, Signor Meli. I borghi passano, come è passato il Medioevo, e come passano i like, ma i paesi restano e non tutti si piegano alla logica del più forte, dei novelli Batman che combattono le tenebre che hanno in testa.”                                                                                              

Gianpiero Caldarella

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Isnello: vinta la guerra contro la fava libera

Il Vernacoliere”, storico giornale di satira livornese, ci avrebbe fatto un bel titolo.

Già perché a Livorno quando si parla di “fava” si intende qualcosa che poco ha che fare con il verde. Ne consegue che a Livorno nessuno penserebbe di esibire la fava all’aperto, se non altro per senso del pudore.

La locandina de “Il Vernacoliere”, agosto 2013 (testi di Mario Cardinali)

Un migliaio di chilometri più in giù, in Sicilia, ad Isnello, a un cittadino viene in mente di piantare le fave in un tratto di verde, a ridosso di un marciapiede, lungo la via Falcone e Borsellino.

Arriva il mese di aprile e quelle piante crescono rigogliose, gli anziani e non solo si fermano a guardare i baccelli che crescono, la “novità”, per quanto inaspettata e singolare, piace a tanti residenti e visitatori. In fondo si tratta solo di una piccola aiuola di una decina di metri quadrati e un po’ di fave sparse lungo un piccolo corridoio di una ventina di metri dove crescono le erbacce.

Ancora un mese e sarebbero diventate delle fave belle e pronte, non certo ad uso di chi le ha piantate, ma di chiunque le volesse raccogliere.

Poi succede che qualche giorno prima di Pasqua, nella settimana santa, gli operai comunali vengono inviati, zappa alla mano, ad estirpare quelle fave che crescono in libertà. Certo, qualcuno potrebbe pensare che è arrivato il momento di pulire il viale dalle erbacce e che anche le fave siano state sacrificate per questo motivo.

E invece no.

L’aiuola dove c’erano solo le fave viene ripulita del tutto e lungo lo stretto pezzo di terra dove le fave crescevano in mezzo alle erbacce, ad una ad una viene tolta ogni piantina di fava.

Povera fava!

Risultato: le erbacce rimangono sempre, tanto che alcune panchine stanno per essere ricoperte ma la “fava” è stata eliminata. Chi vuole può immaginare la grande soddisfazione di chi ha impartito l’ordine di estirparle. Un motivo di orgoglio per l’amministrazione e una gran lezione per la comunità: “ricordatevi di Attila che dove passava lui non cresceva più neanche l’erba, figuriamoci la fava”.

Chi comanda non può permettersi tentennamenti e così la crociata contro la fava libera è stata finalmente conclusa con successo. Ora proviamo ad immaginare quale fastidio davano quelle fave.

Entravano in competizione con le tante piante “invasate” e riposte alla son façon lungo il viale in contenitori di fortuna? Danneggiavano il decoro di qualche decina di metri quadrati di terra più o meno abbandonata togliendo visibilità alle erbacce? Era necessario dare una “lezione di giardinaggio” a chi le aveva piantate? È scoppiata un’epidemia di favismo a Isnello? Non erano state piantate con i filari in linea e a squadra come si conviene a un buon agricoltore?

Certo, le domande possono essere tante e le risposte ancora di più ma il risultato è che la povera fava è stata punita a forza di zappa, che a volte il manganello fa meno male.

Per i prossimi fiori che pianteranno, gli esperti consigliano di innaffiarli con olio di ricino.

Quello che è fatto è fatto. Non abbia rimpianti chi ha deciso di fare la guerra alla fava libera a Isnello e non se la prenda se nessuno lo ha osannato visto che la geografia non ha aiutato.

Magari fossimo stati a Livorno e allora ci sarebbero stati scroscianti applausi da parte dei moralizzatori.

Però siamo in Sicilia e qui l’ossessione per la fava si fa fatica a comprenderla.

Ma siamo uomini di mondo, prima o poi capiremo il “ragionamento” che c’era dietro.

Foss’anche un ragionamento a testa di fava.

Gianpiero Caldarella

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La democrazia fondente

La provincia spesso permette di vedere più chiaramente quello che nelle grandi città non è immediatamente percepibile. Le fondamenta della democrazia stanno nella partecipazione e in una comunità di mille abitanti e poco più spesso quelle fondamenta sono visibili.

Facciamo un paio di esempi. Nel primo caso si parla dei soci fondatori di un’associazione nata nel 2021 che ha già ricevuto svariati contributi per diverse migliaia di euro dal Comune in cui ha sede.

Tra i sei soci fondatori compaiono la persona che a quella data era il Sindaco, ed è stato rieletto, il Vicepresidente del Consiglio Comunale, oggi Presidente e l’allora consulente del Comune oggi Assessore. Un’associazione che a detta di molti ha fatto tanto bene per il paese e del resto non si possono reprimere gli impeti filantropici di quanti si spendono per il bene comune.

Però, anche se nel direttivo non compaiono figure istituzionali, leggendo lo statuto e il regolamento interno pubblicato sul sito, si legge che “il Consiglio Direttivo è composto da tre, cinque o sette membri. Dura in carica 4 (quattro) anni con possibilità di rinnovo delle cariche e viene eletto come segue: 2/3 (o 3/5 o 4/7) componenti indicati dai soci fondatori e 1/3 (o 2/5 o 3/7) componenti eletti dall’assemblea in rappresentanza dei soci aderenti.”

Questo significa, che se anche l’associazione dovesse crescere fino ad avere centinai di soci, questi non conteranno mai come i soci fondatori nella nomina del Consiglio Direttivo a cui spetta tra l’altro l’elezione del presidente. Tutto “blindato” a partire dalle fondamenta. Per la serie: “sempre da me devi passare”. È la parte migliore della democrazia, quella “spartecipativa”.

E intanto dalla regia rimbomba delicata una voce in sottofondo: “E tu che fai non partecipi? Ma cosa vuoi di più? Ancora a parlare di indipendenza e cose vecchie come il cucco… ma smettila! Pensa al futuro, che noi ci abbiamo già pensato, pure al tuo”.

Nella democrazia tradizionalmente intesa ci sono pesi e contrappesi; nella democrazia fondente ci sono strati e controstrati.

Nel secondo caso invece abbiamo a che fare con una Fondazione scientifica, una di quelle importanti, fondata sempre dallo stesso Comune. Prima di arrivare alla nascita della Fondazione, quel comune si è impegnato nell’intercettare e nello spendere tanti milioni di euro di finanziamenti per mettere su le strutture, ha messo a disposizione degli immobili di sua proprietà e per tanti anni ha speso energie, denaro, tempo, innumerevoli ore di lavoro di tecnici, maestranze, segretari comunali e amministratori. E ancora oggi, se c’è da fare qualcosa, non si tira indietro, come è giusto che sia all’interno di un rapporto franco ed equilibrato. Nelle righe che seguono potremo farci un’idea se quest’equilibrio regge o pende da un lato.

Pertanto, a mo’ di riconoscimento del lavoro fatto dal Comune, la Fondazione ha previsto nel suo Consiglio di Amministrazione (CdA) cinque membri di cui tre eletti dal Consiglio Comunale.

La prima “terna” viene nominata dal Consiglio Comunale nel 2017 uno o due mesi prima delle elezioni, che non si sa mai, magari dovessero credere che il CdA risponde al Consiglio Comunale in carica quei 5 anni. E in effetti i membri di quel CdA -che poi ha eletto il Presidente, cioè il Sindaco intanto diventato ex- non hanno mai messo piede all’interno di quel Consiglio Comunale che li ha eletti (pardon, il precedente Consiglio) per relazionare sulle attività svolte dalla Fondazione, per presentare i conti o per mettere in evidenza opportunità o criticità. Certo, lo ha fatto talvolta il Presidente, soprattutto per chiedere la solidarietà dell’amministrazione nel chiedere fondi e contributi a enti regionali o statali.

Siccome squadra che si vince non si cambia, succede che nel 2022, a ridosso delle elezioni, uno o due mesi prima, il Consiglio Comunale, avendo apprezzato il modus operandi dei predecessori, rielegge le stesse persone che dureranno in carica altri 5 anni nel CdA della Fondazione, mentre l’orizzonte di carica dei consiglieri si riduce a una manciata di giorni nel caso in cui le elezioni avessero preso una brutta piega.  

Le fondamenta della democrazia, i soci fondatori, le fondazioni. Tutto molto bello.

Quel piccolo e ridente paese continua a vivere serenamente, avendo imparato che la partecipazione è una brutta bestia, che le domande si fanno solo a scuola, che è meglio vivere di concessioni che morire di diritti. Munnu a statu e munnu sarà (trad.: è così che va il mondo).

Accade così gli abitanti di quel ridente paesino vengono un giorno sì e un giorno no accusati di apatia, di poca voglia di partecipare e di mettersi in gioco, di essere loro stessi la causa delle loro disgrazie. Nel frattempo si racconta che la comunità si salverà grazie all’entusiasmo di tutti quelli che, approdati nel magico borgo in questi tempi di ripresa e resilienza, non vedono l’ora di partecipare al “banchetto”…pardon, allo sviluppo di questo paesino che sembra non essere più neanche in grado di raccontare la propria cultura, che ha addirittura silenziato le voci di chi da sempre con competenza ed autorevolezza si è speso per la comunità. Ma di questo ne parleremo in un altro “cuntu”.

Intanto diciamo solo che non sono pochi quelli che pensano che l’apatia dei tanti sia l’altra faccia della medaglia della bulimia, dell’eccessivo appetito dei pochi, a cui evidentemente piace vincere facile.

E mentre l’inverno sta arrivando, il clima si surriscalda e la democrazia si fa sempre più fondente.  

Occhio che squaglia.

Gianpiero Caldarella

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Dalle scarpette rosse alle babbucce rosse: Indietro tutta!

Sono passati più di tre giorni dal 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, eppure le “scarpette rosse” fatte indossare dall’amministrazione comunale di Isnello alla “Madre Madonita”, magnifica scultura in bronzo di Pietro Giambelluca, sono ancora lì.

In altre circostanze si potrebbe dire che è un buon segno, che le lotte per un mondo migliore non si esauriscono nelle commemorazioni.

Poi ti capita di passare vicino alla statua della Madre Madonita, uno dei rarissimi casi nel mondo di scultura equestre con soggetto femminile e capisci che qualcosa non va. Le maestose montagne delle Madonie sono sempre lì, ma da lontano si percepisce che la luce è diversa dal solito, sui faretti sono stati infatti montati dei fogli di gelatina rossa che rendono la luce calda, creando un’atmosfera quasi da night club.

Fai qualche altro passo, ti avvicini e vedi che ai piedi della Madre Madonita sono state fatte calzare delle “babbucce”, delle scarpe da notte di colore rosso, quasi certamente fatte a maglia da qualche volenterosa, generosa e capace donna del posto.

Le babbucce hanno sostituito le scarpette rosse come se nulla fosse.

Eppure la sensazione è ancora che qualcosa non va per più motivi.

La “Madre Madonita” (P. Giambelluca, 1987) con le babbucce a Isnello (PA)

Il primo -e meno importante- è estetico; a dirla tutta non è un bel vedere. Anche un’installazione dovrebbe essere ragionata e non improvvisata. Certo, adesso che le temperature si sono abbassate la Madre Madonita sentirà meno freddo con queste babbucce, ma con le piogge si sono inzuppate, facendo letteralmente colare i piedi della povera statua.

La seconda ragione e forse la più importante è di natura simbolica. Le scarpette rosse come simbolo della violenza contro le donne sono il frutto di un’installazione dell’artista Elina Chauvet a Juàrez, città del nord del Messico, nel 2009. Da quel momento quel simbolo è stato adottato in tantissimi paesi del mondo.

E qui abbiamo a che fare con i simboli perché le scarpette rosse sono il simbolo dell’indipendenza e dell’emancipazione femminile, della libertà delle donne di vestirsi nel modo che si preferisce, anche seducente, senza per questo essere tacciate di provocare i peggiori istinti degli uomini. Anche le babbucce fatte a mano, per quanto utili e gradevoli nelle situazioni domestiche, rimandano ad un universo simbolico che è l’esatto opposto dell’emancipazione femminile. Rimandano ai tempi in cui alla donna, “angelo del focolare”, era precluso avere la stessa libertà di movimento degli uomini perché, come recitava un vecchio detto, dovevano “stare a casa a fare la calza”.

Certo, queste considerazioni di natura semiotica non saranno passate nella testa degli ideatori di questa “installazione”, ma in modo quasi istintivo sono state percepite da coloro che la osservano e che il più delle volte non si fermano a riflettere. Semplicemente ridono.

Il terzo e ultimo motivo attiene alla natura dell’opera, cioè della scultura del maestro Pietro Giambelluca, che in questo modo è stata violata nella sua natura. Non si dovrebbe agire sull’arte in questo modo, piegandola alle “grandi pensate” dell’amministratore di turno.

La Madre Madonita è lì dal 1987, e non ha mai dovuto sopportare questo tipo di “travestimento”, come fosse il “Mannekin Piss”, la statua del bambino che fa la pipì che è anche il simbolo di Bruxelles, ma quella è un’opera nata irriverente e da più di tre secoli la città la traveste in centinaia di modi.

Tutt’altra storia è quella della Madre Madonita collocata sul viale Impellitteri nel 1987, anno in cui vedeva la luce anche la famosa trasmissione “Indietro tutta” di Renzo Arbore.

E qui con questa installazione potremmo entrare di diritto nei canoni di quella trasmissione, colorata, irriverente e a tratti trash.

La troppa convinzione, unita alla mancanza di riflessione, a volte gioca brutti scherzi, ma la strada è ancora lunga.

Quindi, indietro tutta.

Gianpiero Caldarella

In evidenza

La “montagna di merda” non profuma di rose

Stamane il notiziario delle 8 su Radio1 non ha detto neanche una parola su Aldo Moro e Peppino Impastato, uccisi entrambi il 9 maggio 1978. In realtà c’era un solo generico accenno alla giornata della memoria delle vittime del terrorismo, solo una data per Moro e il nulla su Impastato. Certo, Radio Rai, che rimane un ottimo esempio di servizio pubblico, capace di coniugare qualità dell’informazione e pluralismo, oggi dedicherà delle trasmissioni a questi due grandi uomini del nostro recente passato. 

Moro e Impastato, all’apparenza così distanti nei modi e nello spazio, avevano in realtà qualcosa in comune: entrambi lottavano per qualcosa che avrebbe cambiato in meglio il Paese. 

Moro era uno dei protagonisti di quel processo chiamato “compromesso storico” e la stretta di mano tra il segretario della DC e l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, era qualcosa di impensabile per chi voleva continuare a costruire muri. Uno “scandalo” per i falchi dell’epoca, per gli instancabili promotori della guerra fredda e con le dovute proporzioni, quando oggi sentiamo Zelensky che apre alla Russia dicendo di essere disposto a “cedere” la Crimea pur di far cessare la guerra e un attimo dopo sentiamo intervenire il presidente della Nato che sconfessa Zelensky dicendo che la Crimea non si tocca, si ha la sensazione che il presidente ucraino rischia di più a non allinearsi alle posizioni della Nato che a continuare la guerra con Putin. Detto ciò, è chiaro che la distanza in termini di spessore politico e umano tra Moro e Zelensky è un abisso. 

Impastato, giù in Sicilia, a Cinisi, a suo modo lavorava anche lui per una sorta di “compromesso storico”, quello tra attivisti contro la mafia e società civile, ridicolizzando la mafia e cercando di far sì che a lottare contro di essa non fossero solo le parti migliori della politica (penso a Pio La Torre o a Piersanti Mattarella) o delle forze dell’ordine o della magistratura (e qui non faccio nomi perché l’elenco sarebbe troppo lungo). Quando Impastato, da militante comunista, diceva che “la mafia è una montagna di merda”, non intendeva dire solo che è orribile o che puzza da morire, ma che tutti possiamo calpestare quella merda, che un solo uomo, anche il più scrupoloso dei professionisti, non può fare tanto, ma una società attenta, coesa e solidale può spazzare via quella merda e può anche sbeffeggiarla.

Oggi sembrano scomparsi o quantomeno ridimensionati dalla “grande” informazione, come se fossero tornati ad essere scomodi. A dire il vero il percorso di “riabilitazione” della figura di Impastato è stato lungo e per più di un decennio la macchina del fango su di lui ne ha dette di tutti i colori (estremista, terrorista, ecc. ecc.). Alla fine, grazie al processo, alla caparbietà dei suoi compagni e alla popolarità del film “I cento passi”, è stata ristabilita la verità. Ciò non toglie che l’antimafia sociale, quella dal basso, senza finanziamenti e sponsor istituzionali, oggi più di ieri, non ha vita facile. E fare antimafia, soprattutto in Sicilia, non significa ripetere facili slogan (quello lo sapeva fare anche Cuffaro), ma impegnarsi nella ricerca della verità, denunciare le storture, schierarsi con il più debole e a volte semplicemente avere il coraggio di dire che “il re è nudo”.

Moro invece, in quanto grande statista ed uomo di Stato, è stato dipinto da subito come un “martire”, probabilmente anche da quelli che hanno responsabilità sulla sua morte, ma dopo 44 anni il processo di verità che dovrebbe svelare le trame che ci sono state dietro il suo assassinio, sono ancora oscure. Ma quello che più importa è che il metodo politico di Aldo Moro è stato archiviato anche da quelli che sarebbero dovuti essere i suoi eredi. Di “compromessi” non si parla quasi più, si rialzano i muri e le armi inviate in giro per il mondo, a partire dall’Ucraina, sostituiscono il ruolo della diplomazia e delle parole.

Pertanto oggi diventa più importante che mai ricordare i loro esempi di vita, avendo il coraggio di scomodare i potentati, a qualunque livello, dal nazionale al locale, prima che qualcuno, poco alla volta, con la propaganda e le “amicizie che contano”, faccia passare il messaggio che “la montagna di merda” profumi di rose. 

Gianpiero Caldarella

In evidenza

Quale progetto per Monte Mufara? Lettera aperta al Sindaco di Isnello, Marcello Catanzaro

Caro Sindaco, dopo aver letto un suo post su Facebook (https://fb.watch/cBktZhjURK/) in merito al “Progetto di realizzazione dell’Osservatorio Astronomico dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) SSA P3-NEO-VIB – FLY – EYE TELESCOPE”, sono sempre più convinto che sintetizzare vada bene, ma semplificare eccessivamente rischia di confondere quanti cercano di capire meglio qual è il progetto per Monte Mufara e quali sono le posizioni espresse all’interno del Consiglio dell’Ente Parco delle Madonie del 22 aprile.

Anzitutto, esprimerei un apprezzamento per il Presidente Angelo Merlino, che con intelligenza e senza preconcetti si è messo in una posizione di ascolto rispetto alle varie voci, istituzionali e non, che si sono alternate in quel consiglio. Lo stesso apprezzamento va ai sindaci e agli assessori dei vari Comuni presenti, che comunque non rappresentavano la totalità delle comunità madonite ma circa i due terzi. A parte lei, che ha proposto l’ordine del giorno di cui parla, solo il Presidente della Fondazione Gal Hassin e l’Amministratore unico di So.Svi.Ma. Alessandro Ficile, che sono intervenuti nella discussione, avrebbero accettato di buon grado il progetto così com’è.

Vero è che da tutte le posizioni, anche dal pubblico è emerso il sostegno al progetto di realizzare un osservatorio dell’E.S.A. a Monte Mufara, ma quando si è parlato di QUESTO PROGETTO, da tutti gli altri interventi, istituzionali e non, mi sembra di aver capito che, con diversi livelli di criticità, è emersa la necessità di verificare con attenzione come si possa ridurre al minimo il consumo di suolo necessario alla realizzazione dell’osservatorio.

Ma cosa prevede questo progetto? Uso qui le sue parole per farlo capire a chi legge: “l’edificio si comporrà di tre corpi principali, un corpo centrale che ospiterà il telescopio e la cupola, un’ala tecnica posta a sud est in adiacenza al corpo centrale presso la quale sarà installata tutta la strumentazione tecnica al servizio della cupola e un’altra ala posta a nord ovest, sempre adiacente al corpo centrale, che ospiterà il centro di elaborazione dati e anche tutta una parte dedicata al personale tecnico che lì dovrà operare. La struttura nel suo complesso si svilupperà su due livelli e soltanto il corpo centrale includerà un secondo piano. Il volume (sic) complessivo è di 840 mq di 480 coperti e 360 destinati al piazzale. L’accesso alla struttura avverrà tramite una piccola strada sterrata di circa 120 metri e larga appena 3,6 metri con un dislivello di 18 metri e una pendenza del 15%.”

Stiamo parlando di 840 metri quadri in cima a Monte Mufara, con un’altezza massima della costruzione che supera i 13 metri. Di questo stiamo parlando.

Bene, detto ciò, la sua posizione, da Sindaco di Isnello, è stata quella di calare nel consiglio questa nota subito dopo l’intervento iniziale del Presidente del Gal Hassin e ha concluso con queste parole: “con questo ordine del giorno io sostanzialmente pongo alla decisione di questo consiglio questo tema e chiedo che venga condiviso e che politicamente venga sostenuto perché adesso serve esprimere chiaramente la volontà o meno di continuare in questa strada e sostenere questo progetto.”

A questo punto non c’è stata una standing ovation ma l’intervento, forse il più duro della giornata, del sindaco di Petralia Sottana, Leonardo Neglia, che ha posto una questione di metodo e di trasparenza, non solo verso le ignare comunità locali, ma anche verso i sindaci dei comuni sul cui territorio ricade il progetto e che sembra non siano stati proprio entusiasti di quanto sia stato possibile per loro partecipare, essere convolti nella ideazione e realizzazione di QUESTO PROGETTO.

Le mie valutazioni servono a poco, ma quanti oramai da tempo si limitano ad applaudire ad ogni annuncio che viene fatto e a contestare chi dal basso pone qualche domanda e solleva qualche dubbio additandoli come “il partito del no”, è bene che leggano questo intervento e si facciano un’idea di come sono andate le cose e di come stanno le cose.

Il sindaco di Petralia Sottana, Leonardo Neglia, intervenuto subito dopo di lei ha detto: “io ho dato un’occhiata all’ordine del giorno proposto dal sindaco di Isnello e dico che esprimo la mia non condivisione rispetto all’ordine del giorno, che non significa -e voglio precisarlo- di non condivisione rispetto alla realizzazione dell’osservatorio astronomico dell’E.S.A. Condivido l’analisi fatta dal Presidente di Gal Hassin e come ricordava anche il Sindaco di Isnello, noi siamo uno dei pochi comuni delle Madonie ad aver creduto al Gal Hassin ed essere stati soci e ad aver creduto e credere ancora alla realizzazione del telescopio Fly- Eye, tanto da aver da subito approvato il comodato d’uso per quanto riguarda i terreni che abbiamo in comproprietà con i comuni di Bompietro, Castellana Sicula e Petralia Soprana, che abbiamo subito messo a disposizione per la realizzazione di questo telescopio importantissimo. Dico di più, io personalmente anche con una nota formale, avevo messo a disposizione della Fondazione Gal Hassin anche un nostro immobile comunale, “Il Grifone”, che si trova a Piano Battaglia, funzionante, anche dal punto di vista energetico efficientato, dotato di energia rinnovabile. L’avevo messo a disposizione perché questo diventasse una base per servire sia il telescopio di Isnello, sia il telescopio dell’E.S.A., ma che possa essere anche un punto di riferimento anche per tutti quegli appassionati di astronomia e a tutti quelli che vogliono avvicinarsi a questa affascinante branca della ricerca, considerato che si trova veramente a poca distanza dal telescopio. L’intento era quello da un lato di valorizzare ulteriormente questo immobile e con esso anche il comprensorio e il sito di Piano Battaglia, dall’altro c’era un riferimento a quello che è secondo me -al di là della questione dell’impatto visivo- è un principio che dovrebbe guidare il nostro agire amministrativo e cioè quello di evitare quanto più possibile il consumo di suolo. Quindi, il fatto di mettere a disposizione un edificio esistente, aveva anche questa funzione. Avevamo fatto anche un sopralluogo con il presidente della Fondazione Gal Hassin, avevo mandato le planimetrie per capire come all’interno di quest’immobile si poteva anche pensare a qualcosa che fosse anche funzionale al telescopio. Ecco, questo è uno dei primi motivi che mi hanno, come dire, indisposto, rispetto a un metodo, una procedura che io ho ritenuto non proprio impeccabile, tant’è che poi ha prodotto anche una situazione in cui non mi volevo e non mi voglio trovare. Uno scontro, questa è una delle cose su cui bisognava stare attenti e ci doveva essere uno sforzo per evitarlo. È chiaro che le cose umane sono tante e complesse che a volte gli scontri si generano, però, da parte delle istituzioni, ci deve essere un tentativo per evitare che tutto si risolva in chi è pro e chi è contro, ci deve essere una sintesi delle varie posizioni. In tal senso ringrazio il presidente per aver dichiarato il recupero di un metodo, una procedura che è importantissima e questo potrebbe essere già la partenza per tentare di ricomporre quantomeno un dialogo che francamente sui social non mi ha appassionato e al quale non ho partecipato né intendo farlo. 

È quindi una questione di metodo e per quanto riguarda il comune di Petralia Sottana, nel cui territorio ricade la struttura da realizzare; c’è stata una scortesia istituzionale. Avrei gradito, anche coinvolgendo i proprietari del terreno (Castellana, Bompietro e Petralia Soprana) che, Pino (ndr: rivolto a Pino Mogavero, presidente della Fondazione Gal Hassin), chi ne ha la titolarità istituzionale, quantomeno organizzasse un incontro con i soggetti, come il Comune di Petralia o il Parco, per spiegare il progetto…”

A questo punto interviene il Presidente della Fondazione Gal Hassin, Pino Mogavero e inizia un botta e risposta.

Mogavero“Ma l’abbiamo fatto, l’abbiamo fatto. Lo abbiamo presentato (ndr: si riferisce all’evento Gal Hassin del 29 agosto 2021) e invitato tutti i sindaci. Io ho invitato tutti. Se non sei venuto non è colpa mia”.

Neglia“Va bene, allora, se non sono venuto, però, Pino, allora è inutile che mi chiedete il parere”.

Mogavero“Io ti chiedo pareri? Io non ti chiedo niente”.

Neglia“È inutile che mi si chieda il parere come Comune a questo punto. Io sto parlando di cortesia istituzionale”.

Mogavero“Quando tu mi dici che hai messo a disposizione i locali, la prima volta mi hai detto: ‘Presidente, qua è tutto libero…”

Neglia“Presidente, io vorrei parlare…”

Mogavero“Però devi dire le come stanno”

Neglia“Io sto dicendo le come stanno. Io avrei gradito perché potevo chiedere direttamente ai tecnici che stanno redigendo il progetto se potevamo anche limitare il consumo di suolo che è stato previsto in questo progetto. È mia facoltà chiederlo? Dal punto di vista della presentazione io sono assolutamente d’accordo sul fatto che si realizzi il telescopio a Monte Mufara, però consentimi, e penso che qualunque sindaco, e tu lo sei stato sindaco, richiede anche rispetto, che nel proprio territorio venga anche coinvolto nella definizione del progetto e anche nella ideazione del progetto e anche nella proposizione di dubbi che ogni Sindaco può avere rispetto a qualcosa che si realizza. Quindi, secondo me, è legittimo da parte mia anche essere stato indispettito da una procedura che non mi ha coinvolto completamente, ma non in quanto Leonardo Neglia, ma in quanto Sindaco del Comune dove va alloggiato il telescopio. In breve, io non posso condividere il progetto di realizzazione dell’osservatorio, che è cosa diversa dal condividere il fatto che l’osservatorio è bene che si faccia, perché dal punto di vista scientifico, della ricerca, turistico e promozionale del territorio ha una grandissima validità, ma io quest’ordine del giorno non lo condivido e vorrei che fosse messo a verbale.”

Mi scuso con i lettori e con il sindaco di Isnello, Marcello Catanzaro, se non sono riuscito ad essere sintetico ma da quel consiglio dell’Ente Parco delle Madonie sono venuti fuori tanti interventi di grande interesse, alcuni dei quali credo che andrebbero approfonditi e trattati in un successivo pezzo. 

In pratica, il momento di stappare lo champagne non è ancora arrivato.

Gianpiero Caldarella

In evidenza

Il nuovo “Tabbobbio” di Isnello 

Il volto di Isnello sarà presto impreziosito da un nuovo avveniristico edificio che nascerà nella piazza principale del gagliardo paese madonita, dove al momento ha sede l’ufficio postale. 

L’annuncio, in pompa magna, è stato diramato il 20 marzo sui canali social del Comune e del Sindaco diffondendosi ben presto per cielo, per terra e per mare. Anche dalle costellazioni di Pegaso ed Orione sono arrivati scroscianti applausi per le forme affusolate del manufatto.

Il progetto esecutivo è stato approvato dalla Giunta Municipale l’11 marzo nella sala delle adunanze della gloriosa Casa Comunale e prevede una spesa di appena 994 mila euro.

In pratica pochi spiccioli, quisquiglie, bazzecole se rapportate alle poderose economie del borgo madonita e ai passi da gigante che la comunità farà dopo il decollo di questa struttura. 

Al suo interno, vi sarà un infopoint e con teutonica precisione frotte di visitatori saranno accolti a braccia aperte e a lingua sciolta. Le informazioni saranno infatti fornite nella lingua madre del borgo, ma anche in inglese, francese, tedesco, giapponese, mandarino e arancia di Scillato.  

All’interno della monumentale opera verrà collocato anche il museo “Trame di filo” che con un adeguato gioco di specchi potrebbe diventare l’inizio del labirinto da cui si dipartiranno i percorsi che tutto il mondo ci invidia, come il sentiero dei pianeti con tanto di tute da astronauta usa e getta che verranno fornite in dotazione agli impavidi nipoti di Neil Armstrong.

Nella giornate speciali riecheggeranno nel borgo le note dell’artiglieria pesante della musica, cioè gli organi delle chiese, le cui canne, lucidate come intrepidi cannoni, spicchiolieranno nella volta celeste, e se non sarà celeste, ci damu una tinciuta, che una botta di colore non guasta mai.

Sono tanti gli eroi accorsi da tutta Italia che hanno dato vita e animeranno questo mirabolante spazio le cui meraviglie saranno presto note da Pachino a Pechino.

I cittadini residenti scalpitano nell’attesa della demolizione dell’ufficio postale, incuranti della strada che dovranno fare per ritirare la pensione e alcuni di loro già sbavano immaginando di mummiare le numerose fanciulle e ragazzoni che affolleranno questo nuovo magico edificio.

Se c’è un peccato commesso dall’amministrazione nel prospettare questo nuovo paradisiaco scenario, è stato quello di battezzarlo “ITINERA”, un nome troppo modesto per cotanto progetto.

Sono già in molti quelli che a gran voce chiedono che sul maestoso prospetto che abbellirà la piazza compaia la scritta “TABBOBBIO”, che meglio rappresenta le virtù dell’opera e le ambizioni di un’amministrazione e della sua gloriosa comunità.

Se anche tu immagini che il nome “TABBOBBIO” rappresenti meglio lo spirito di questo futuristico manufatto aderisci all’adamantina campagna: “Un TABBOBBIO è per sempre”.

Pronospera e agliastri!

Gianpiero Caldarella

In evidenza

Panta rei. Due libri per uscir fuori dal pantano

Ogni tanto bisognerebbe mettere un punto fermo su questioni che sembrano da sempre scivolosissime. E la mafia è una di queste questioni, forse la principale per un Paese che ha fatto di questo marchio, o “brand” se preferite, uno dei maggiori veicoli dell’italianità.

Di storie ce ne sono tante, di cronisti meno che una volta, di storici pochi, di narratori illuminati quasi nessuno.

Certo, questa riflessione arriva a distanza di due anni dalla pubblicazione de “Il padrino dell’antimafia”, sottotitolo “una cronaca italiana di un potere infetto”di Attilio Bolzoni e ad un anno di distanza dall’uscita in libreria de “La notte della civetta”, sottotitolo “storie eretiche di mafia, di Sicilia, d’Italia”, di Piero Melati. Entrambi i libri sono pubblicati da un editore milanese, “Zolfo”.

Ora, dato che tutto scorre, questi due libri dovrebbero essere ormai “datati”, fuori dai radar della grande – o piccola – promozione del mercato editoriale e, non trattandosi di romanzi o storie di fantasia, i fatti che sono raccontati al loro interno dovrebbero essere stati superati dalla realtà.

Niente di più falso. La realtà, o meglio, le realtà che sono raccontate in questi due libri riescono a modificare il modo in cui percepiamo il nostro presente, dandoci qualche strumento per anticipare le mosse che verranno, come in una partita a scacchi. Dall’altra parte della scacchiera c’è la mafia.

Una mafia che non è altro da noi, dalla Sicilia o dall’Italia, che non è solo un’organizzazione criminale, ma una rete di relazioni, di convenienze, di rette che non dovrebbero incontrarsi se non all’infinito e che invece si incrociano proprio davanti all’uscio di casa e spesso entrano anche dentro. Una mafia che non si potrà mai battere se prima non la si comprende.

E per comprenderla bisogna sentirne il respiro, ma occorre anche avere la fortuna di imbattersi in qualcuno che la sappia raccontare senza nessuna presunzione di fare il professore, senza fermarsi, in un movimento continuo che somiglia ad una danza attorno ad un oggetto che cambia continuamente forma. Una danza ha sempre una musica che la accompagna. 

Nel caso di Melati, de “La notte della civetta”, questa musica è un blues a tratti straziante. C’è un desiderio di libertà che nasce dal dolore; in catene non c’è uno schiavo nelle piantagioni di cotone, ma un’intera città, Palermo, che attraversa gli anni ‘70 e ‘80 quasi in apnea, in una grande vasca ricolma di sangue ed eroina. All’autore spetta il gravoso compito di essere un testimone di quegli anni, di quei fatti, che segue da cronista per il giornale L’Ora, fino al maxiprocesso. Un testimone non impermeabile, a tratti si ha la sensazione di sentire tra le righe il suo battito cardiaco che accelera nel ricordare certe strade, suoni di sirene, incontri nei palazzi di giustizia. Un uomo che con grazia e lucidità mette il lettore in guardia dal rischio di trovarsi di fronte ad una realtà che per troppo tempo è stata tragicamente taciuta, e non solo per via del politicamente corretto, o di interessi specifici o deviati, ma più semplicemente per quelli che sono i limiti della “diretta”.

Un atto che somiglia al togliersi i sassolini o i macigni dalle scarpe. Non un atto di vendetta, ma un atto di amore verso la propria gente e le tante storie che partendo da Palermo hanno contribuito in modo determinante a costruire l’identità non solo della Sicilia, ma anche dell’Italia.

Anche se Melati non si pone mai la domanda, questo ispirato lavoro darà al lettore degli strumenti irrinunciabili per capire cosa è la mafia, com’è possibile che siamo arrivati a questo punto, cosa dovremmo attenderci e come i nostri corpi e le nostre menti, per quanto si sentano assolti, siano lo stesso coinvolti.

Tornando alla danza, nel caso di Bolzoni, autore de “Il padrino dell’antimafia”, la musica che accompagna il suo lavoro potrebbe essere un rock con contaminazioni di elettronica.

Finalmente qualcosa di nuovo. Qualcosa che ci permette di capire a distanza ravvicinatissima come l’ascesa e la caduta di uno dei maggiori protagonisti dell’antimafia istituzionale – non un “eroe”, neanche tra virgolette – possa raccontare della trasformazione della mafia negli ultimi due decenni almeno. Non si tratta solo di mettere a fuoco la crisi in cui versa da anni il movimento antimafia attraverso il racconto della parabola umana e giudiziaria di Antonello Montante, ex delegato nazionale di Confindustria per la legalità. Quello è lo spunto per entrare in un labirinto dove potere economico, potere delle istituzioni e potere mediatico si incrociano in nome di un interesse che non è certo l’interesse dei cittadini. Il risultato è la creazione di un “mostro”; ma del “santino”, dell’immaginetta di Montante ce ne facciamo ben poco se non comprendiamo che quello è solo l’effetto. 

Volete che vi parli della causa o delle cause? Non lo farò, quelle sono sempre le stesse, in più di 150 anni della storia della mafia.

Quello che qui interessa è il metodo, il procedimento, il come OGGI si riescano ad ottenere certi risultati. E Bolzoni in questo è magistrale, nel prenderci per mano e condurci in un labirinto dove ad ogni angolo si fanno incontri inaspettati, dove si comprende plasticamente che il potere su cui si fonda la nuova identità delle vecchie organizzazioni criminali si basa più sulle informazioni e sull’immagine che sulle armi. Un percorso che a tratti rischia di far venire le vertigini, come l’assolo di una stratocaster che si fonde con i suoni di un sintetizzatore di ultima generazione. Un “sistema” tanto modernamente ben strutturato quanto quasi perfetto quello raccontato da Bolzoni. L’unico tarlo che poi farà crollare il castello sarà proprio il “fattore umano”, il carattere di Montante, troppo eccessivo. Un libro che, attraverso il peggio dell’antimafia vista in questi anni, parla della mafia, di cosa è diventata, di come è in grado di organizzarsi e compromettere lo Stato, del come si muovono certe pedine nella scacchiera e di come certe antiche metafore su pupi e pupari funzionino ancora a dovere.

La modernità in fondo non è altro che la tradizione 2.0.

Due libri per uscire dal pantano scrivevo nel titolo. Il pantano costituito dalla retorica e dalle liturgie che spesso rappresentano uno di quei veli che ci impediscono di capire di cosa stiamo parlando quando parliamo di mafia. Quando ne parliamo oggi.

E oggi, come ieri, non c’è contenuto che non meriti di avere una forma.

O, se preferite, anche il contrario.

Buona lettura! Se siete arrivati fin qui le vere letture per voi inizieranno un po’, quando avrete fra le mani questi due libri. 

Gianpiero Caldarella

In evidenza

Netflix e la vendetta degli anti-padrini

Pino Maniaci e Silvana Saguto, volente o nolente, sono diventati delle star. La serie distribuita da Netflix in sei episodi che vede al centro della narrazione due personaggi “simbolo” dell’antimafia, ha fin da subito varcato i confini nazionali. Quella che nasce come una “piccola” storia locale sta lentamente diventando una chiave per aprire le porte che mostrano al mondo cos’è diventata la Sicilia. Non tutta la Sicilia, ma certamente quella che nei decenni ha fatto più parlare di sé, perché questa terra è stata la culla della mafia. 

Francis Ford Coppola con “Il Padrino” ha realizzato un capolavoro anche perché ha messo le mani nel tempo presente, nella contemporaneità. E da decenni ormai, mentre anche la mafia aveva cambiato i suoi connotati, in Italia si continuavano e si continuano a produrre film e telefilm-e molto più raramente documentari o docu-serie-, spesso solo per la tv, che raccontano fatti di sangue vecchi di almeno 30 anni. Certo, la memoria ha la sua importanza, ma per sapere qualcosa dell’oggi ci si è affidati solo alle inchieste delle pochissime trasmissioni che portano avanti questo genere di giornalismo in Italia, da Report a Presa Diretta a poco altro. Nulla di veramente “trasversale” e tantomeno di internazionale.

Adesso, con la docu-serie “Vendetta – Guerra nell’antimafia”, ideata e realizzata tra l’altro da due giovani registi siciliani, Davide Gambino e Ruggero Di Maggio, la Sicilia e Palermo tornano a lanciare un messaggio che ha il sapore dell’universalità. E guardacaso non è più la mafia, ma l’antimafia a diventare l’oggetto della narrazione. Narrazione che è precisa, chirurgica, finemente documentata, esteticamente ed antropologicamente accattivante, stilisticamente vicina al modello di giornalismo anglosassone che distingue i fatti dalle opinioni. Insomma, gli autori conoscono bene il loro mestiere e sanno cosa raccontare.

Ma noi non viviamo a New York per cui possiamo farci un’idea di Mister Maniaci solo dopo aver visto la serie, né viviamo a Parigi per cui possiamo parlare di Madame Saguto alla stessa maniera.

Avevamo già le nostre idee, e qualcuno di noi, come il sottoscritto, ha raccontato i suoi dubbi quando tutto questo è iniziato, quando sono comparse la foto di Maniaci sui tg e in prima pagina di qualche quotidiano dell’isola accanto alle foto di mafiosi arrestati tra Partinico e Borgetto nella stessa operazione. Sono molti gli articoli che ho scritto in quel lontano maggio e giugno 2016 su Maniaci. Era un argomento scottante; solo a raccontare quello che non convinceva di quella rappresentazione mediatico-giudiziaria o a ricordare gli effettivi meriti sin lì avuti da Maniaci nel narrare quanto altri sapevano ma non volevano dire, si veniva tacciati di essere dei “novelli garantisti”, dei “fastidiosi” e tanto altro. Altri guai capitarono allora ad associazioni antiracket come “Libero Futuro”, e uno dei responsabili come Enrico Colajanni, si vide costretto a fare lo sciopero della fame. Insomma, il clima non era proprio sereno.

Maniaci fu massacrato su giornali e tg e, come spesso accade, la sua vittoria nel processo di primo grado per l’inconsistenza dell’accusa di estorsione -resta la condanna per diffamazione- passò quasi in sordina. 

La giudice Silvana Saguto, invece, forse per ignoranza mia, non era considerata un simbolo. Sì, da anni si discuteva dei beni sequestrati e di come quasi sempre andassero in rovina, ma come spesso succede per le mancanze o i disastri dello Stato, dalla sanità alla viabilità a tutto il resto, difficilmente si associa un volto a una responsabilità. Ne iniziò a parlare Maniaci e uscì “dall’anonimato”, ma perlopiù era sempre un nome noto ai soli addetti ai lavori. Quando la sua foto uscì sui giornali e nei tg, in pochi la difesero. Perché? Forse perché non era un simbolo, ma un ingranaggio, sia pur molto importante, del sistema. 

E adesso, grazie a questa serie, abbiamo avuto la possibilità di conoscere la sua voce, il suo guardaroba, la sua casa, i suoi familiari, le sue ragioni e il suo modo di esporre quelle ragioni. La frase che più mi rimane impressa è: “sono furibonda”. Mai un ripensamento, un attimo di esitazione, qualcosa che facesse pensare al fatto di avere qualche dubbio sulla sua condotta. Una donna tutta d’un pezzo, che si muove nelle aule dei tribunali come una leonessa nella foresta. Una donna abituata a detenere lo scettro del comando, eppure nella ricostruzione dei fatti che le gira intorno e che il tribunale in primo grado ha ritenuto di condannare a otto anni, difficilmente è un personaggio nel quale gli spettatori potranno identificarsi.

E qui viene fuori la domanda ai miei conterranei: è un’eccezione la dottoressa Saguto oppure questo tipo di “baldanzosità” la si può riconoscere anche in altri “potenti” che reggono le sorti dell’isola? Qui il discorso si fa prettamente antropologico e mette da parte gli aspetti giudiziari o criminali. Sì, perché la sensazione è che se gli atteggiamenti della Saguto sono replicabili in altri ambiti dell’amministrazione della cosa pubblica, la questione da porci è: che tipo di persone siamo noi? 

Siamo sudditi che quando il padrone alza la voce ci nascondiamo sotto il tavolo, o siamo cittadini in grado di vedere, sentire e parlare di conseguenza? Il tempo delle tre scimmiette -non vedo, non sento e non parlo-sembra essere finito con gli omicidi eccellenti di mafia. E adesso? È solo una guerra nell’antimafia o è una guerra nello Stato quella che si profila all’orizzonte? E non sto parlando semplicemente di veleni nelle procure, o guerra tra procure diverse, o equilibri politico-economici che si contendono il territorio. Nello Stato, che lo si voglia o no, siamo compresi noi cittadini.

Per chiudere, tornando alla docu-serie “Vendetta”, se ha avuto l’effetto di creare delle star, regalando un boccone amaro a quanti avrebbero voluto che “il caso Maniaci” si dimenticasse in fretta, ha avuto anche il merito di dire che la Sicilia non è più terra di padrini destinati a diventare popolari anche oltreoceano.

Il palco di Don Vito Corleone adesso è occupato dal dottore.

Oppure è Don Vito ad essere diventato dottore?

Gianpiero Caldarella

In evidenza

Una spremuta di acqua intelligente/3

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 3

I CASI PARTICOLARI E IL DUBBIO: UNA SCELTA VERAMENTE CONVENIENTE?

segue da: https://scomunicazione.wordpress.com/2021/06/14/571/(si apre in una nuova scheda)

Ci siamo chiesti come mai i comuni di Gangi, Pollina e Gratteri non abbiano aderito all’accordo quadro dal momento che, per come è stata dipinta la faccenda, sembra un percorso conveniente per tutti. 

Il sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo, sentito a fine marzo, ci dice che “dipende dal fatto che noi avevamo già acquistato i contatori e quindi non era il caso. Abbiamo investito diverse centinaia di migliaia di euro qualche anno fa, non ero sindaco io e quindi i contatori sono a norma. Avevamo una minima parte non a norma ma li abbiamo acquistati e li stiamo sostituendo, quindi ovviamente non abbiamo aderito. Sa, stiamo parlando sempre di denaro pubblico. L’unica differenza è che i nostri contatori non hanno il telecontrollo. Ce ne faremo una ragione e andiamo a rilevare la lettura con un impiegato”.

Il sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo

Tutto chiaro, i contatori per legge vanno sottoposti a revisione o sostituzione ogni dieci anni e il comune di Gangi li ha già sostituti da poco. Nessuna legge tra l’altro impone dei contatori smart.

Un po’ più interessante è il caso del Comune di Pollina, contattato telefonicamente a fine marzo. L’assessore Salvatore Gaglianello in merito ai motivi che hanno portato a non sottoscrivere l’accordo quadro risponde: “proprio pochi minuti fa ho parlato con il nostro assessore, Scialabba, che è assessore al comune di Pollina ed è anche assessore all’Unione dei Comuni, il quale mi ha detto di parlare con Sosvima, con Ficile, per capire, perché qui noi non ne sappiamo niente. Non ne sappiamo niente, perché, diciamo, questa rinuncia è stata fatta dalla precedente amministrazione, in quanto noi ci siamo insediati ad ottobre (ndr: 2020) e la cosa è una cosa vecchia che noi abbiamo saputo quando lei ha chiamato il sindaco Musotto (ndr: un paio di giorni prima avevamo scambiato due battute col sindaco Musotto che ci aveva rimandato all’assessore), perché altrimenti non ne sapevamo niente di questa cosa. Stiamo cercando di capire per quali motivi, perché la precedente amministrazione non ha aderito a questo progetto (…) anche perché non le nascondo che io mi occupo anche di tutto l’idrico a Pollina e avere i contatori con l’autolettura per noi sarebbe importante”.

A spiegare meglio le ragioni di questa “assenza”, ci pensa ancora una volta l’amministratore unico di Sosvima, Alessandro Ficile: “per quanto riguarda Pollina questo percorso di assistenza tecnica è partito con l’amministrazione Culotta la quale non si è sentita. Eravamo all’inizio del 2020, le elezioni dovevano essere a maggio, poi come lei sa la pandemia ha spostato il termine e alla fine si è arrivati ad ottobre. Quindi diciamo, fra gennaio e febbraio, quando tutti gli altri comuni hanno richiesto il nostro supporto tecnico, lei ha ritenuto opportuno di -come dire- non farlo anche per non mettere di fronte a un fatto compiuto, a una scelta del genere, la nuova amministrazione che si sarebbe insediata da lì a poco e che invece poi per altri motivi, le elezioni sono slittate e sono state portate ad ottobre. Quindi il motivo è di opportunità, di scelta, di visione, perché il comune di Pollina rientrava tra i comuni che in una prima fase abbiamo seguito”.   

Questo spaccato di conversazione d’un tratto inserisce un altro attore nel nostro racconto e cioè la politica. Il fatto che aderire o meno a questo accordo quadro, al di là dei tecnicismi e dei vantaggi e delle incertezze sulle scelte ancora da prendere, sia anzitutto il frutto “di una scelta, di una visione”, non lascia adito a dubbi. Si tratta indubbiamente di un atto politico, qualcosa di più di un atto dovuto, per dirla in breve. Inoltre, secondo la ricostruzione di Ficile, la delicatezza con cui l’ex sindaco Magda Culotta tratta l’amministrazione che seguirà, non meritevole di essere messa “di fronte a un fatto compiuto”, stride con il basso profilo tenuto da tutti o quasi gli enti coinvolti in questa faccenda in merito alla comunicazione e alle informazioni che potevano essere veicolate alle decine di migliaia di cittadini coinvolti dalle trasformazioni in atto nel settore dell’acqua. Per dirla con le parole, tra l’altro già citate, di uno dei sindaci coinvolti nell’accordo quadro: “attendevamo solo la conclusione del procedimento”. In altre parole, il fatto compiuto.

Dopo Gangi e Pollina, l’ultimo “caso particolare” da prendere in rassegna è quello del Comune di Gratteri. Riusciamo a contattare telefonicamente a fine marzo l’assessore Nico Cirrito a cui chiediamo come mai il Comune di Gratteri non ha aderito all’accordo quadro e la sua risposta è illuminante: “noi abbiamo fatto, diciamo, un’indagine di mercato, abbiamo chiamato direttamente Hitron e il fornitore di Hitron è Immedia che ci ha fatto uno sconto che a nostro avviso è più vantaggioso, ma forse è meglio che parli con l’ufficio tecnico che ha i dati per fare la fornitura diretta, risparmiando un bel po’ di soldi, penso. Siccome il nostro è un comune modesto, abbiamo acquistato un contatore che mediante la lettura pro-scan, noi passando per le strade del paese mediante questo sistema riusciamo ad avere una lettura immediata a differenza, penso, di altri contatori che andrebbero a fornire il dato direttamente alla centrale, praticamente in comune”.

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Una spremuta di acqua intelligente/2

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 2

segue da: https://scomunicazione.wordpress.com/2021/06/14/una-spremuta-di-acqua-intelligente-inchiesta-cuntu-sulla-rivoluzione-in-atto-nel-settore-idrico-in-molti-comuni-delle-madonie-e-del-palermitano—cap-1/

UNA SCELTA CORALE E UNA DISCUSSIONE APERTA

Posta in questi termini, tutta la vicenda sembra non meritare particolare attenzione dal punto di vista giornalistico, come se il percorso fin qui elaborato dalle amministrazioni che gestiscono gli acquedotti fosse né più e né meno che un atto dovuto. Eppure una scelta tanto strategica quanto onerosa per le comunità coinvolte avrebbe sicuramente meritato più spazio nel campo della comunicazione istituzionale. In altre parole, le amministrazioni comunali avrebbero potuto fornire più informazioni sulle trasformazioni in atto nel settore idrico e delle scelte che stavano ormai da tempo operando.

Quello che succede è invece che un minimo di dibattito pubblico inizia a crearsi dopo che gli undici comuni coinvolti, tra il 16 dicembre 2020 e il 20 gennaio 2021, con delle delibere di giunta -cioè senza un mandato esplicito dei vari consigli comunali- approvano uno schema di accordo “per il conferimento, all’Unione dei Comuni “Madonie” del mandato per l’attivazione di un Accordo Quadro ai sensi dellart.54 del D. Lgs n. 50/2016, per la fornitura di Kit di contatori intelligenti da installare presso le utenze civili ed industriali” servite dagli stessi comuni nell’ambito del Servizio Idrico Integrato. Il primo Comune a firmare questo accordo è Sclafani Bagni, l’ultimo Petralia Soprana, dove ha sede l’Unione dei Comuni.

A questo punto, soprattutto sui social data la pandemia e l’impossibilità di riunioni in pubblico ci si inizia a chiedere quanto costeranno questi contatori smart, se la gestione del servizio idrico continuerà ad essere interamente pubblica, se i comuni avranno le necessarie risorse, cioè di personale competente per gestire delle reti informatiche capaci di interfacciarsi con ogni singolo contatore intelligente. 

Arriva quindi il momento in cui alcuni sindaci, come quello di Isnello, Marcello Catanzaro, sollecitato sulla questione via social, rassicura la popolazione dicendo che la gestione dell’acqua rimarrà pubblica e che per questo obbiettivo i comuni che hanno firmato l’accordo con l’Unione si sono impegnati in una battaglia che dura da più di un anno ottenendo il “regime di salvaguardia” che consentirà di continuare a gestire il servizio idrico senza cedere questa competenza all’Amap S.p.A. (Azienda municipalizzata Acquedotto di Palermo, ente gestore del servizio idrico integrato in 34 comuni dell’area metropolitana di Palermo), che quella dei contatori intelligenti è una scelta di efficientamento e di progresso, che l’Unione dei Comuni rappresenta gli interessi di ogni singolo comune e che in sostanza il comune di Isnello, nello specifico, ha le risorse o quantomeno le potenzialità per affrontare le nuove sfide contando sui propri mezzi. Sul come mai poco era stato comunicato fino a questo punto, la risposta data il 26 gennaio su Fb non lascia adito a dubbi: “Divulgare pubblicamente il raggiungimento e gli effetti di questo importante traguardo raggiunto era già intendimento di questa Amministrazione: attendevamo solo la conclusione del procedimento”.

Il sindaco di Isnello Marcello Catanzaro

La situazione è più o meno analoga negli altri comuni, vale a dire che i cittadini poco o nulla sanno di quanto sta accadendo. Intanto i fatti si susseguono rapidamente.

Il 18 febbraio 2021 con la determina n.3 l’Unione dei Comuni nomina il geometra Salvino Spinoso -già responsabile tecnico del comune di Petralia Soprana e a quella data in forze presso l’Unione dei Comuni-, come Responsabile Unico del Procedimento (R.U.P.) per l’attuazione della fornitura dei kit di contatori intelligenti. A firmare la determina è il Responsabile del settore tecnico dell’Unione, ingegnere Pietro Conoscenti.

Da notare che nella stessa determina, tra le premesse, si legge che “l’Amministratore Unico di SOSVIMA SpA con nota prot. N° 1780 dell’16.02.2021 ha invitato il Responsabile del Settore Tecnico dell’Unione di voler procedere con la massima celerità possibile all’avvio delle procedure necessarie al raggiungimento del precitato obiettivo”

Con questo passaggio nel nostro racconto entra in gioco un altro attore, cioè la Sosvima (Società Sviluppo Madonie), una società pubblico-privata nata nel 1997 come soggetto responsabile del patto territoriale e che da tanti anni consorzia enti pubblici e forze imprenditoriali, diventando ormai da tempo una realtà consolidata per lo sviluppo del territorio, grazie alle sue capacità progettuali e relazionali. A guidare la Sosvima, che ha sede a Castellana Sicula, è l’amministratore unico dottor Alessandro Ficile.  

Dal contenuto delle poche righe in cui la Sosvima è citata nella determina, possiamo dedurne che di certo non manca di autorevolezza o di capacità di convinzione se solo due giorni dopo dal “sollecito” viene nominato il RUP.

Qualcosa però non ha funzionato per il meglio, dato che il 7 aprile 2021 il geometra Spinoso rassegna le sue dimissioni volontarie irrevocabili dal ruolo di Responsabile Unico del Procedimento e così il 19 aprile 2021 con la determina n.19 dell’Unione dei Comuni viene nominato il nuovo Rup nella persona dell’ingegnere Pietro Conoscenti. A firmare la determina è ancora una volta il Responsabile del Settore Tecnico dell’Unione, cioè l’ingegnere Pietro Conoscenti. Quale sia il motivo delle dimissioni non si sa, ma quello che salta agli occhi è che solo tre giorni dopo, il 22 aprile, viene approvato dall’Unione il progetto per la fornitura di Kit di contatori intelligenti, un “piccolo” progetto da quasi tre milioni di euro.

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Una spremuta di acqua intelligente/1

Inchiesta-“cuntu” sulla rivoluzione in atto nel settore idrico in molti comuni delle Madonie e del Palermitano – Cap. 1

Mettetevi comodi se avete voglia di sapere cosa si muove in molti comuni del palermitano e in particolare delle Madonie attorno ad uno dei beni primari per la vita dell’uomo e cioè l’acqua. In fondo riguarda anche le vostre tasche, dato che diversi comuni si stanno attrezzando con dei mutui per far fronte alle spese necessarie per adeguarsi alle nuove leggi e regolamenti. Sono tutte quante spese necessarie? Starà a voi rispondere a questa ed altre domande, se avrete un po’ di tempo e di attenzione da dedicare alla lettura di questo lungo pezzo. Del resto anche l’acqua impiega il suo tempo per scendere dalle montagne fino a valle. A noi invece tocca l’onere di proporvi questo “cuntu”, un’inchiesta che inizia proprio dal conto, dal conteggio dell’acqua che sarà affidato a dei contatori intelligenti e che abbiamo diviso in tre parti. Seguirà poi la parte relativa al regime di salvaguardia, quello ottenuto dai comuni per continuare a gestire in proprio il servizio idrico. Anche lì ci sarà tanto da raccontare e da spiegare. In quanto al metodo, abbiamo deciso di non dare nulla per scontato, per questo abbiamo citato nel dettaglio leggi e regolamenti, abbiamo cercato di guardare ai vantaggi e ai possibili svantaggi di determinate operazioni su larga scala, abbiamo cercato di avere informazioni su cosa accade altrove per capire meglio cosa sta succedendo sulle Madonie. Adesso possiamo aprire i rubinetti. Servitevi pure.

I NUOVI CONTATORI: DOVE QUANDO E PERCHE’

Tra qualche mese in undici comuni delle Madonie faranno la loro comparsa i nuovi contatori intelligenti che andranno a sostituire i vecchi contatori dell’acqua. Veniamo ai numeri: un totale di 21.980 contatori e 37 sistemi smart (telelettore e software di gestione) per un importo a base d’asta che è stato fissato in quasi tre milioni di euro, per la precisione 2.940.893,79 euro

Tabella tratta dalla deliberazione n.16/2021 della giunta dell’Unione dei Comuni “Madonie” con i costi complessivi del progetto.

Il progetto “Fornitura di kit contatori per acqua potabile con modulo di telelettura” è stato infatti approvato dalla giunta dell’Unione dei Comuni Madonie il 22 aprile 2021 e il 3 giugno è stato sottoscritto l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per procedere alla selezione delle aziende che parteciperanno alla procedura ristretta. Ultimo giorno utile alle imprese che vorranno  partecipare a questa gara sarà il 6 luglio.

I comuni interessati a questa “rivoluzione smart” sono: Caltavuturo, Campofelice di Roccella, Castelbuono, Collesano, Geraci Siculo, Isnello, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Scillato e Sclafani Bagni, al cui interno risiedono complessivamente più di 35mila cittadini.

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Isnello, Comune irtuoso

Isnello, Comune irtuoso. Non si capisce? Forse ho dimenticato di dirla tutta, ora vengo e mi spiego. La bella notizia è quella comunicata sui canali social del Comune e del sindaco: è stata superata la quota del 65% di raccolta differenziata per il 2019 e del 75% per il 2020. 

Quindi la Regione Sicilia ci ha premiati con 22.650  euro e l’amministrazione Comunale con una delibera del 29 marzo ha deciso di confermare la riduzione del 25% della tassa sull’immondizia (TARI) per il 2021 per i commercianti, e di abbattere di un ulteriore 45% la tassazione per le attività più colpite, come bar e ristoranti. Lo so che lo sapete. Tanti like lo testimoniano. E in effetti è una bella notizia. Non solo il risultato raggiunto ma la scelta dell’amministrazione di sostenere le attività commerciali in sofferenza. 

Adesso arrivo alla nota dolente. Sempre il 29 marzo, l’amministrazione Comunale di Isnello con una delibera ha approvato le nuove tariffe del Servizio idrico integrato cioè dell’acqua per il 2021. Tariffe che dovranno essere ora approvate dall’Ati Palermo e che prevedono un incremento del 5%. Quindi aspettiamoci bollette più salate per l’anno in corso e certamente questo non è un capriccio dell’amministrazione, anzi, poteva andare pure peggio, visto che il margine di incremento poteva arrivare al 9% e ci sono tante cose da fare, sistemare le reti idriche, installare i contatori intelligenti ecc ecc. 

Lo sapevate che le bollette dell’acqua saranno più salate? Attenzione: stiamo parlando di atti pubblici, tutto discusso in consiglio comunale e pubblicato sull’albo pretorio del Comune. Tutto regolare. Il punto è come mai alcune deliberazioni diventano notizia e altre che incidono altrettanto o forse di più sulla vita di una comunità no? Uno dei criteri per cui un fatto diventa notizia, la cosiddetta notiziabilità, dovrebbe essere quello per cui riguarda la vita di tante persone, e se la matematica non è un’opinione, i commercianti di Isnello sono un po’ meno dei residenti. 

Qualcuno più intelligente di me dirà che ci è arrivato subito al perché di questa scelta di non notiziabilità. Perché forse quella dell’aumento delle tariffe idriche non è una bella notizia. Ma qualcuno dovrebbe darla, anche se quest’aumento fosse inevitabile o un atto dovuto. E qui forse sarebbe il caso di parlare di quello che dovrebbe essere il ruolo dell’opposizione. Alla maggioranza invece suggerirei di comunicare senza omettere quello che può risultare poco piacevole, quello che non attira like. Insomma, di dirla tutta. 

Allora sì che si che il comune di Isnello si potrebbe fregiare del titolo di virtuoso. Per intero.

Gianpiero Caldarella

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Il Nazareno, il Vaticano e i panchinari della repubblica

“Morto un papa se ne fa un altro” era la regola Oltretevere. Poi arrivò Ratzinger e scompigliò le carte. Fu la fine di un proverbio e tutti dovemmo fare i conti con una nuova figura: l’emerito.

“Il segretario non può che essere una persona pulita, anzi pulitissima, meglio ancora se usa e getta” era la regola del Nazareno. Otto segretari del Pd fatti fuori in 13 anni.  Solo i ct del Palermo calcio nell’era Zamparini duravano meno. Poi arrivò Zingaretti e scompigliò le carte. Se sarà la fine della “sindrome da Conte Ugolino” che attanaglia il Pd è presto per dirlo.

Il fatto è che Enrico Letta oggi si trova nella stessa posizione che occupò Jorge Maria Bergoglio il 13 marzo 2013, quando venne proclamato Papa. Se nel Pd avessero anticipato di un giorno la votazione del nuovo segretario, avrebbero potuto festeggiare la “fumata bianca” ed insieme l’anniversario del pontificato di Papa Francesco. 

Ma veniamo a noi e facciamo un passo indietro. Iniziamo col chiederci se esistono delle ragioni per cui le situazioni dei due “emeriti”, Ratzinger e Zingaretti, possano essere paragonate. Entrambi si sono dimessi con magna sorpresa di tutti e con il presagio di tante amarezze per non pochi. Chi crede che sia solo Renzi a dover “stare sereno” vede solo la punta dell’iceberg.  Entrambi hanno in qualche modo tracciato la strada per la loro successione, puntando su dei “panchinari” di lusso, dall’aspetto mite, ma molto determinati e con le mani meno legate delle loro. Entrambi avevano un grosso problema, le correnti interne e la gestione dei denari. Se Oltretevere il problema erano anche e soprattutto gli appetiti legati alla gestione delle finanze vaticane e dello Ior, il problema interno al Pd (e non solo) sarà quello degli appetiti legati alla gestione del “Next Generation EU”, i 209 miliardi in arrivo dall’Europa.

E adesso facciamo un passo avanti. Il primo passo di Papa Francesco è stato quello di spogliarsi dei simboli del potere terreno, dall’abbigliamento sfarzoso, ai gioielli ingombranti, alle auto di rappresentanza, alle residenze di lusso. Il tutto per riavvicinare i credenti alla Chiesa, rivoluzionando nelle forme e nella sostanza l’identità del Vaticano e facendosi non pochi nemici all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Il primo discorso di Enrico Letta è stato improntato sulla necessità di riavvicinare i giovani -con un endorsement, guardacaso, a Papa Francesco- e le varie “anime” del centrosinistra al Pd e soprattutto quello di smetterla di essere “il partito del potere” (che tradotto dal politichese, significa, smetterla di essere percepiti come tali). Fin qui solo parole, ma chi cerca di intravedere affinità e divergenze fra i due “Enrico”, Berlinguer e Letta, mettendo sotto la lente di ingrandimento i discorsi del segretario più amato del vecchio Pci, credo stia commettendo un errore. Forse sarebbe più opportuno tenere d’occhio l’emerito, Zingaretti, per comprendere quali saranno le prossime mosse di Letta. Che non è solo colui che dovrà rivoluzionare il partito, non è solo il protagonista di un nuovo corso come lo è stato Bergoglio, ma è anche una vittima della vecchia politica. Che in fondo, tanto bella non è, con buona pace di Veltroni. E questo chi ha pagato il prezzo delle proprie (ed altrui) scelte sulla sua pelle lo sa bene. La maturazione di un essere umano -figuriamoci di un leader-, in fondo, consiste anche nel saper distinguere tra vendetta e giustizia, tra avversari e nemici, tra politica ed affari.

Un segretario pulito a questo punto potrebbe servire poco al Pd o all’Italia. Che vista da Parigi, dove lavorava Letta o da Francoforte, dove viveva Draghi, forse dava un’immagine più nitida di sé, delle sue ricchezze e dei suoi mali. Adesso è il momento delle grandi riserve della Repubblica.

Chissà che i “panchinari” non facciano meglio dei titolari

Gianpiero Caldarella

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Houston, abbiamo un Matteo, anzi due

Se la Russia tanto cara a Salvini spaventava i nostri alleati d’oltreoceano, la “rinascimentale” Arabia Saudita tanto cara a Renzi di certo non entusiasma il nuovo presidente Biden. I suoi consiglieri staranno ancora lì a chiedersi che c’azzecca Riad con Rignano.

Non ci vuole molto a capire che qualcosa non va. Del resto, lo stesso Matteo Renzi, in un’intervista andata in onda su La7 a “Non è l’Arena” il 22 settembre 2019, diceva con estrema lucidità che “Salvini è stato un po’ strano nell’ultimo periodo: non spiegava questa storia dei rapporti coi russi, questo non è un problema legato alla presunta tangente richiesta da questo signore che si chiama Savoini, il punto è che questi rapporti politicamente spostano l’Italia nell’orbita della Russia.”

Ragionamento che non fa una grinza. Neanche se cambiamo la parola “Russia” con “Arabia Saudita”. Un problema di geopolitica, dunque, di orbite che sfuggono anche alla Nasa e non solo una questione di petrodollari o rubli. 

Batti e ribatti, i due Mattei rischiano di ricordare agli USA un altro momento in cui l’Italia rischiava di dare seriamente fastidio oltreoceano. Siamo verso la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Enrico Mattei (sarà un segno del destino) con i suoi accordi per l’estrazione di petrolio in zone del pianeta che fino ad allora erano esclusivo appannaggio delle compagnie petrolifere americane, stava dando non poco fastidio agli interessi a stelle e strisce. Sappiamo come andò a finire. Ma lì l’obbiettivo era percepibile e di lungo periodo, si trattava di far entrare l’Italia nel club delle nazioni che contano sul piano energetico, di limitarne la dipendenza, di restituirle (qualora l’avesse mai avuta) una “sovranità”. E adesso?

Siamo sicuri che i due Mattei stiano facendo il gioco dell’Italia come invece lo fece a suo tempo Enrico Mattei oppure c’è il rischio che stiano facendo uscire il Paese dalle orbite solo per qualche dollaro o rublo in più da usare per le prossime campagne elettorali? Certo, gli zii d’America non sono più generosi come una volta, ma gli zii di Riad o di Mosca non rischiano di metterci in una posizione d’imbarazzo? Qualcuno ha ancora memoria degli endorsements di Berlusconi a Gheddafi? Ma almeno, al di là delle appariscenti amazzoni, in Libia c’erano forti interessi italiani da difendere. E poi, a dirla tutta, se gli interessi della Russia sono chiari ormai da anni, quelli della rampante Arabia Saudita sono ancora opachi e se lì le politiche del lavoro possono apparire brillanti a qualcuno, non bisogna dimenticare che anche i giornalisti sono dei lavoratori e quando vengono ammazzati il loro sangue non ha sfumature rinascimentali.

Neanche se questo sangue lo guardi dalla Luna.

Houston, abbiamo un problema.

Gianpiero Caldarella