La vie en green (pas rose)

Un presente fluorescente è l’anticamera di un futuro daltonico. O per dirla papale papale, se tutto è sfacciatamente verde, saremo condannati a non riconoscere più questo colore. Dove sono finite le auto inquinanti, la frutta chimica, gli indumenti decolorati, le plastiche ingombranti e tutti quegli oggetti e quelle abitudini che ci rendevano fieri di essere consumatori? E’ come se fossero spariti, inghiottiti da una religione che non ammette eresie. Qualunque prodotto venga pubblicizzato e messo in commercio, pure lo spazzolone del cesso, viene esaltato dal suo essere rispettoso dell’ambiente. Il bollino verde ha fottuto in curva quello blu della banana Chiquita. In effetti tira più un pelo di verde che una carrettata di buoi. Se poi il verde diventa green, allora anche il mondo si allarga trasformando il pianeta in un immenso campo da golf. Ha dda venì il grande green.

E noi nutriamo la speranza che i nostri gesti facciano la differenza, ma se la differenziata non decolla è sempre colpa del nostro vicino di casa, di strada, di città, di regione o di continente. La colpa è di chi abita allo Zen o a Napoli o in Cina. Non nostra, noi siamo differenziati, noi siamo la speranza, il verde che si espande a macchia d’olio continuando a consumare sempre di più. Però noi differenziamo. E se un giorno diverremo veramente daltonici, avremo comunque un vantaggio. Non vedremo più i sorci verdi.

Gianpiero Caldarella

 

 

Charlie Hebdo, satira e tabù

La satira è l’espressione più limpida della pluralità dei pensieri. La libertà, giusto per fare un esempio, è una invenzione del Pensiero. E il pensiero, quindi, viene prima della libertà. Poi ci sono i pensieri, plurale. Tanti. Quelli possono e dovrebbero coesistere, nel rispetto reciproco.

Una redazione di satira non è un blocco di granito e al suo interno -Vincino docet- ci sono spesso degli scazzi dettati da punti di vista e opinioni diverse sullo stesso argomento da trattare. Un dettaglio non di poco conto, che fa la differenza con altri modelli di giornale, più “composti” e compatti, dove la linea editoriale è spesso preconfezionata e l’obbiettivo è quello di parlare ai proprio lettori, rassicurandoli, perché in fondo questi ultimi sanno già che il “loro” giornale la penserà come loro e utilizzerà il “loro” linguaggio. Un giornale di satira invece lavora costantemente sul limite, danza sul filo del rasoio con le sole armi dell’intelligenza e dell’irriverenza, riducendo al minimo lo spazio riservato ai tabù, a ciò che mai e poi -per i benpensanti- andrebbe detto pubblicamente. Un giornale di satira lavora per stupire i suoi lettori e non certo per rassicurarli o peggio ancora per intimorirli, per creare nuove paure.

Va anche detto che le conquiste ottenute nel tempo dai giornali di satira non valgono per sempre, sia in termini di linguaggio che di contenuti. Basti pensare a quello che è successo in Italia Continua a leggere