“Nuovi Cooperanti padani”. Salvini il Tagiko

tagikistan def

Altro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Alberto da’ Tanzania

giussano

Altro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Salvini il Kazaro

kazakistan defAltro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Renzo “Trota” Bossi l’Albanese

il trotaAltro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

O come nel caso del Trota: MA IN PADANIA SE LO RICORDANO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Salvini il Mongolo

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Altro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Borghezio l’ammericano

borghezio usa

Altro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

“Nuovi Cooperanti padani”. Salvini l’Uzbeko (TUTTO VERO!!!)

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Altro che radici padane. La Lega Nord non disdegna le relazioni internazionali, basta spulciare sul sito del Parlamento europeo per vedere quali e quanti incarichi hanno i suoi deputati a Bruxelles. E poi nella storia recente di blasonati esponenti di quel partito non mancano le relazioni traffichine in Albania, in Tanzania… Tutto fa brodo nelle casse padane, purché viaggi in un aereo di prima classe.

La domanda sorge spontanea: MA IN PADANIA LO SANNO?

Marco Pinna e Gianpiero Caldarella

Taccio dunque ascolto. Voyeur o buongustaio della parola?

L’ascolto ci rende persone migliori? Domanda inutile o forse formulata male. La maggior parte di voi avranno già pensato: “dipende da cosa si ascolta o da chi si ascolta”. Ok, allora ipotizziamo per un momento di essere in un mondo ideale dove tutto ciò che si ascolta ha un senso, senza dare giudizi di valore, né buono né cattivo, né bello, né brutto, al di là dell’etica e dell’estetica. L’ascolto diventerebbe allora qualcosa di simile ad un interruttore, a un click che mette in “off” la propria parola. Per dirla in parole povere, quando si ascolta non si parla. In questa ipotetica situazione, il tempo dell’ascolto sarebbe quella cosa che ci permetterebbe di avere un equilibrio con il tempo della parola. Che è diverso dal tempo dell’espressione, anche l’ascolto può essere “espressivo”, a tratti emozionante, o distratto, o interessato o altre mille cose. In termini “tecnici”, cioè se entriamo nel campo delle teorie della comunicazione, l’ascolto è il tempo della “ricezione”. Per dirla in termini più “umani”, cosa che preferisco, ascoltare è l’equivalente di ricevere. Viceversa, parlare sarebbe l’equivalente del dare. Dare e ricevere, parlare e ascoltare, è chiaro anche a un bambino che dovrebbe esistere un equilibrio fra le due cose. Eppure tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di essere circondati da persone che “non sanno ascoltare”, anzi, proprio non vogliono e lo dimostra il fatto che parlano senza sosta, di ogni cosa, spesso senza cognizione di causa e senza curarsi delle persone che hanno accanto. A prima vista potrebbe sembrare quasi un paradosso, come mai tanta voglia di “dare” in una società sempre più votata all’individualismo e all’indifferenza verso il prossimo? Forse perché -e lì crollano le teorie- il tempo della parola è sempre più narcisistico e ogni volta che ci si trova in situazioni di ascolto forzato, in cui si vorrebbe dire all’interlocutore: “per favore, cerca di tacere un po’, anche solo per cinque minuti”, si ha l’impressione che in realtà ti stiano succhiando non solo il tempo ma anche l’energia. Non si tratta più di dare e ricevere, ma di prendere, di forzare.

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Il piacere di ascoltare, di “ricevere” sembra scomparso, relegato alle situazioni “standardizzate”, come ad esempio l’ascolto di un concerto, o la visione di un film, e anche lì spesso c’è che non sa stare in silenzio. Cambiando senso, cioè spostandoci sulla visione, trionfa il voyeurismo, quella tendenza ad essere spettatori inerti di visioni che diventano sempre più sconce. Guardare senza essere visti, che sia in una camera da letto o davanti allo schermo di una tv che trasmette talk-show e notiziari “al passo con i tempi”, ci rende testimoni del vuoto di conoscenza che riempiamo con un’overdose di immagini. Video che abbassano sempre di più la soglia dell’imbarazzo, che eliminano del tutto la sensazione di essere complici di un sistema, prima ancora che testimoni.

Ad esempio, non sono pochi quelli che godono vedendo le immagini di un barcone affondato, e nella maggior parte dei casi non si tratta di persone che hanno avuto un’esperienza diretta di contatto con i migranti o che hanno a casa la collezione completa de “La difesa della razza”, di mussoliniana memoria. È successo che a forza di guardare solo certe immagini e ascoltare solo certe parole, hanno inteso che questa è l’unica interpretazione possibile del mondo. Due più due fa quattro. E questo è tutto, poi cosa significhi due e cosa significhi quattro non li riguarda. La matematica non è un’opinione, è vero. Questo lo sappiamo e lo sanno anche i voyeurs delle tragedie. Ma a questi ultimi hanno mai detto cos’è la matematica? Ci hanno mai riflettuto? Per arrivare a questo passo bisognerebbe chiudere gli occhi e restare in silenzio per un po’. Prendersi il tempo di ascoltare. Quasi un’eresia di questi tempi tempi, un’ingenuità imperdonabile. Un esempio per capire quanto ognuno di noi abbia sacrificato questa facoltà, sarebbe sufficiente prendere il mano il proprio smartphone e vedere quanti video e quante foto ci stanno dentro e poi vedere quanti files audio ci sono in memoria. Nella maggior parte dei casi, il microfono dello smartphone non è mai stato utilizzato. Il motivo? Pensiamo che il video (corredato dell’audio) ci dia qualcosa di più. Vera o falsa che sia questa asserzione, ciò che dimostra è che il troppo stroppia e storpia, distorce la realtà. Perché nella realtà tutti abbiamo fatto l’esperienza di ascoltare una musica chiudendo gli occhi e non l’abbiamo fatto perché avevamo il trapano del dentista davanti, ma per assaporarla meglio, per gustarla pienamente. E che dire della radio? In un mondo di “guardoni”, dovrebbe essere scomparsa da tempo, eppure sono in Italia ci sono milioni di persone che preferiscono la radio alla tv. Sono i “radioascoltatori”. Che anche se intervengono in diretta, non diventano “radioparlanti”, rimangono ascoltatori, cioè tacciono, anche se parlano. Da veri buongustai della parola.

Gianpiero Caldarella

Sulla visita dei parlamentari del Movimento 5 Stelle a Lampedusa e riflessioni generali sullo stato delle Pelagie.

Quando si parla di migrazione, Lampedusa è sempre al centro del dibattito. I media ce la raccontano come l’isola dell’accoglienza o come il confine da difendere con una massiccia militarizzazione che tra l’altro non è mai mostrata come si deve. I politici nazionali ed europei ci vanno spesso, si fermano qualche ora, fanno il loro discorso, si mettono in posa davanti agli obiettivi, fanno passerella e promettono grandi cambiamenti che non arrivano mai. Gli artisti “impegnati” organizzano festival “celestiali” in cui assicurano di voler dare voce ai lampedusani, ma “stranamente” evitano di mostrare quella parte di Lampedusa e di lampedusani che da anni sono attivi nel territorio e che denunciano tutte e nefandezze che i vari governi, locali e nazionali hanno commesso.

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Poi c’è una realtà come Askavusa, un’associazione che ha cuore e radici a Lampedusa che da anni cerca di lavorare sul doppio binario dei diritti dei migranti (intesi non come soggetto passivo meritevole della nostra beneficenza)  e dei diritti dei lampedusani (scuole, trasporti, economia, inquinamento elettromagnetico…). Andrebbe quantomeno ascoltata la voce dei Lampedusani, prima che qualcuno se ne faccia interprete. Questo post, pubblicato sul blog di Askavusa (askavusa.wordpress.com) racconta di un incontro di qualche giorno fa tra la politica e la realtà locale. Un incontro molto particolare, diverso e per certi versi raro, così come è rara la politica che si mette in una posizione di ascolto. Quello che è successo è molto ben raccontato nel blog di Askavusa, quindi vi rimando a quella lettura:

Sulla visita dei parlamentari del Movimento 5 Stelle a Lampedusa e riflessioni generali sullo stato delle Pelagie..

Salvini, l’uomo che fissa i tapiri

Guarda come gongola, guarda come gongola, col tapir, paparapapà. Il leader maximo della Lega Nord ha deciso di festeggiare il successo elettorale consegnando un tapiro a “quelli che nonostante tutto e tutti hanno continuato a votare per la sinistra delle tasse e dell’immigrazione”. Un breve video di un minuto e passa, un ringraziamento per i suoi 921mila amici su facebook e poi, questo campione di originalità ha tirato fuori un tapiro d’oro ed ha fatto il suo pezzo di satira “strisciante”. Naturalmente la gran parte dei quotidiani online lo hanno ripreso senza commentare, come fosse il vangelo di Matteo. Che poi è quello più alla moda in questi tempi selfie. Renzi docet.

Nessuno infatti sembra essersi posto la domanda: chi glie li dà i tapiri a Salvini? Li scolpisce lui per caso? Li alleva? Li compra in Uzbekistan? Niente di tutto questo, i tapiri di Salvini sono originali, consegnati brevi manu da Valerio Staffelli, inviato di “Striscia la notizia”. Nel dicembre 2014 ne ha preso uno perché è stato sputtanato per via delle famose felpe che indossava, rigorosamente di produzione straniera, nonostante il suo amore ossessivo, quasi da stalker, per il territorio.

Insomma, ne ha avuto di tempo per fissare quel tapiro negli occhi e farsi venire una battuta ma forse il lampo di genio (il top rimane sempre Berlusconi che diede del coglione agli elettori di sinistra) arrivò nel gennaio 2015, quando il caro Matteo ha incassato un altro tapiro ben più pesante. Infatti, Salvini è stato accusato dall’europarlamentare belga Marc Tarabella di essere un assenteista per quanto riguarda i lavori della commissione sugli appalti pubblici. Lui candidamente ha ammesso tutto: «È vero che alla commissione di Tarabella non ho partecipato, ma quel tizio belga ha lavorato un anno e mezzo per partorire una schifezza. Io non voglio essere corresponsabile di un’Europa che ammazza la nostra gente».

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Strano modo di sentirsi a posto con la coscienza. Quando si mette in tasca i soldi da parlamentare europeo non si sente “corresponsabile”? Naturalmente né Staffelli né altri gli hanno posto questa domanda. Per gran parte dell’informazione italiana,i contenuti della Lega Nord si comunicano semplicemente mostrando come cresce il guardaroba di Salvini. Ormai le felpe nell’armadio non sono più organizzate per colore o per stagione, ma per regione e comune. Considerando che ci sono 8047 comuni in Italia, meglio che Salvini cominci a pensare di prendere una casa più grande. E gli è andata di culo che hanno abolito le province, quantomeno sulla carta.

Certamente in quell’armadio non gli resterà spazio per mettere una felpa con su stampato “Bruxelles” o “Strasburgo”, cioè le sedi del Parlamento europeo che danno il pane a Matteo. Purtroppamente, non di sola felpa vive l’uomo. E di cosa si occupa la regionalistica Lega Nord a Bruxelles? Nella scheda di Salvini ad esempio c’è scritto che è un “membro della Commissione per il commercio internazionale” e un “membro sostituto della delegazione alle commissioni di cooperazione parlamentare UE-Kazakistan, UE-Kirghizistan, UE-Uzbekistan e UE-Tagikistan, e per le relazioni con il Turkmenistan e la Mongolia”. Esticazzi! Chi poteva immaginarlo? Continua a leggere