Dottor Borsellino, lei è stato un giudice combattente, pensa che il suo esempio sia stato raccolto da qualche altro magistrato?
Spero proprio di no. La nostra forza era nella squadra, nessuno di noi singolarmente sarebbe stato in grado di sconfiggere la mafia. Ho portato avanti il mio lavoro fino alla fine solo per coerenza, perché ho una dignità, ma sapevo che avrei perso la guerra. Alla fine ero solo ed essere soli è qualcosa di peggio che stare dalla parte sbagliata, significa essere privati della propria parte ed accorgersi del grande bluff.
Di che bluff sta parlando? Lei è un uomo di Stato, delle istituzioni…
Sì, è vero, sono sempre stato un uomo fedele alle istituzioni, ma adesso vedo le cose più chiaramente. Prima mi ha chiesto se sono stato di esempio e le risposto che spero di no. A me basta essere rispettato per la vita che ho fatto e non per come me ne sono andato. Non voglio tutte queste riverenze né essere adorato come un santino. Sono cose che distraggono. Prendono tempo ed assorbono attenzione. Attenzione che invece bisognerebbe rivolgere verso un’altra parte, verso le mafie e verso quelle persone che inquinano la convivenza civile agendo in gruppo e non da soli. A loro fa comodo la storiella dell’eroe che salva il mondo. Più persone credono al superman di turno e più tramonta l’idea che solo il gioco di squadra può fare risultato. Quando poi ti accorgi che una parte della tua squadra rema contro, allora hai perso la partita, è quello il grande bluff…
Sì, ma c’è qualcosa che non torna, manca il movente. Perché degli alti rappresentanti dello Stato dovrebbero tradire la loro storia e quello Stato che hanno servito e costruito per decenni?
Io mi sono fatto un’idea. Non pretendo che la condividiate. Si potrebbe dire per paura che qualche altro politico facesse la stessa fine di Salvo Lima. O per avidità, perchè la mafia corrompe e in certi casi non ha neanche bisogno di fare lo sforzo, perchè già si trova di fronte delle persone marce. Oppure per necessità ed è questa la ragione che mi convince di più. Non dimentichiamoci che non stiamo parlando di uomini ma di istituzioni. La storia di questo Paese, da Portella della Ginestra in poi, lascia pochi dubbi in proposito. Se lo Stato ha la sua ragione, anche la mafia ha la sua ragion di Stato. Sono le gambe che reggono lo stesso tavolo, se provi ad allontanare una gamba dall’altra o se la sposti e la avvicini troppo all’altra, il tavolo rischia di cadere e anche l’altra gamba sarebbe travolta. C’è bisogno di una certa distanza fra stato e mafia, ma non troppa, solo quella necessaria. È una questione di equilibrio. Continua a leggere